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L’indipendenza dell’Algeria, dalle parole di chi ha combattuto per ottenerla

algeria

Pierre Audin aveva un mese l’11 giugno 1957. Il giorno in cui suo padre, il matematico e militante comunista Maurice Audin, fu arrestato ad Algeri dall’esercito francese. A soli 25 anni, Maurice fu torturato per giorni ed ucciso diventando un simbolo degli orrori della guerra d’Algeria. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Sua moglie Josette Audin, morta nel 2019, si è battuta tutta la vita per far emergere la verità.

“In realtà, Josette e Maurice Audin facevano tutto insieme. Fu lei a farlo entrare nel partito. Ma i militari francesi, come i comunisti algerini, non potevano immaginare che una donna potesse essere pericolosa. Quindi hanno arrestato Maurice Audin, non Josette. È lui che è stato torturato e ucciso. Lei ha continuato la lotta dopo la sua morte e il suo impegno comincia ad essere riconosciuto solo adesso. Mi dicono spesso che sono un matematico come mio padre ma in realtà lo sono grazie a mia madre: anche lei era matematica. Piano piano ci si inizia a rendere conto che le donne hanno un ruolo fondamentale nella società anche se magari si espongono meno degli uomini.”

Seduto su una panchina di un parco di Parigi, dove la famiglia Audin è emigrata nel ’66, Pierre racconta quei giorni come se li avesse visti con i suoi occhi. I militari a cui il parlamento francese dà tutti i poteri, compreso quello del boia, le rattonades con cui delle milizie fasciste non ancora organizzate nell’OAS massacrano di botte i mussulmani nelle strade di Algeri. I primi attentati del Fronte di liberazione nazionale. La bomba esplosa sotto la pista di danza del Casino della Corniche, il 9 giugno ’57, è uno degli eventi che portano l’esercito alla porta della famiglia Audin.

Ma che persone erano i suoi genitori?
“Erano un po’ dei pazzi, penso. Ma tutta la società era un po’ folle. Il partito comunista algerino militava per l’indipendenza e loro hanno partecipato a modo loro. Non con le armi, che non sapevano nemmeno usare, ma discutendo con la gente, distribuendo volantini, partecipando alle manifestazioni dove la polizia sparava proiettili veri sulla folla. Sono cose che oggi non possiamo nemmeno immaginare.
All’epoca i miei, che erano intellettuali e guadagnavano abbastanza bene, perché lui era assistente universitario, erano gli unici del palazzo ad avere un telefono e una macchina. Una quattro cavalli. Avevano detto ai vicini di chiedere, se avevano bisogno di telefonare. Il giorno dell’attentato al Casino della Corniche seppero che il fidanzato di una sorella della vicina era rimasto ferito lievemente ed era ricoverato. Fu mio padre ad andare a prenderlo fuori dall’ospedale con la sua macchina il 10 giugno. È una cosa folle: mentre in tutta la città ci sono le rattonades, lui, che poche ore dopo sarà arrestato, torturato e assassinato, va a cercare un ferito che è su un fronte opposto al suo per riportarlo a casa. È folle ma è una follia in cui sono scivolati tutti. Tra il primo novembre del ’54 e il 5 luglio del ’62 sono successe tante cose. In particolare, la cosiddetta battaglia di Algeri fu una deriva folle, che coinvolse tutti.”
Tra i ruoli degli Audin, c’era quello di trovare dei nascondigli ai compagni, visto che il PCA era clandestino dal ’55. A volte accoglievano i feriti, che venivano curati da un medico del partito. Uno di loro, Georges Hadjadj, fu arrestato e torturato dai francesi, che consideravano i comunisti il vero cervello dietro il fronte nazionale di liberazione. Venne così il turno di Maurice Audin che, secondo la versione ufficiale della Francia, riuscì ad evadere qualche giorno dopo. L’evasione, caso più unico che raro, fu persino messa in scena davanti a dei testimoni anche se tutti, in Algeria, sapevano che un prigioniero evaso era solo un eufemismo per parlare di un prigioniero morto. Di storie come quella di Maurice Audin ce ne furono a migliaia. Allora, com’è che lui è diventato un simbolo?

“Beh, perché c’è stata Josette Audin. Perché mia madre ha smosso cielo e terra e ha fatto tantissimo, per lui e per gli altri. Ad esempio, mentre ha sporto denuncia contro ignoti per omicidio volontario, ha anche preso una seconda donna delle pulizie. All’epoca non era così strano. Solo che non era davvero una domestica. Era un modo per superare insieme tutti i posti di blocco e andare alla prigione di Barberousse per incontrare le famiglie dei detenuti. Gli trasmettevano le informazioni avute dagli avvocati, portavano dei soldi e altro. Partecipava al movimento di solidarietà per chi, come suo marito, era stato arrestato perché si batteva per l’indipendenza del suo paese. È stata la sua lotta durante tutta la guerra d’Algeria. E dopo si è battuta per far conoscere la verità sull’uso della tortura anche con un simbolo, che era Maurice Audin. Un uomo giovane, bello, intelligente. Un’icona che ha permesso di creare un comitato a suo nome e dare un premio di matematica durante la guerra.”

Sua madre era davvero una donna incredibile.
“È incredibile perché si è battuta per 61 anni e mezzo. Per cercare di ritrovarlo prima, poi per trovare e far condannare gli assassini, poi per conoscere la verità e infine per farla riconoscere. E il 13 settembre 2018 ha ottenuto che il Presidente della repubblica francese venisse a casa sua per consegnarle una dichiarazione che l’ha in parte soddisfatta e in parte no. Perché il Presidente ha detto di non sapere cosa sia successo a Maurice Audin, se sia stato ammazzato o se sia stata un’esecuzione. Ma ha riconosciuto il fatto che la tortura fosse un sistema praticato dalla Francia in Algeria per terrorizzare la popolazione. Quindi non che servisse a sventare attentati ma a fare in modo che le persone non partecipassero alla lotta per l’indipendenza. Ha riconosciuto che ci sono state migliaia di persone come Maurice Audin e che aprirà tutti gli archivi che riguardano queste persone scomparse perché le famiglie sappiano finalmente cos’è successo ai loro cari.
Rimangono molte cose da dire sulla colonizzazione e sulla guerra di liberazione ma sull’uso della tortura durante la guerra d’Algeria penso che sarebbe stato difficile ottenere di più di quello che è riuscita ad ottenere mia madre dal Presidente della Repubblica. In questo caso, è la carica istituzionale che conta. È su questo che ha vinto davvero e che ha potuto dirsi soddisfatta di quello che ha ottenuto.”

Tra i momenti che hanno segnato la vita di Josette Audin ci fu il giorno in cui ottenne la cittadinanza algerina, nel ’63:
“Era il seguito della sua lotta per l’indipendenza. Si considerava algerina e si è battuta per avere la nazionalità ed è stato un po’ folle. Perché in quanto professoressa francese aveva uno stipendio da cooperante e una volta diventata algerina la sua paga è stata divisa per quattro. Era davvero del militantismo puro perché per loro e per lei era importante rivendicarsi algerina.”
Un altro momento particolare fu la discussione postuma della tesi di Maurice Audin:
“Fu qui a Parigi, alla Sorbona. Era un modo per ribadire la solidarietà degli intellettuali. C’erano almeno mille persone, quando di solito ce ne sono venti, e la maggior parte non capiva nulla di una tesi di matematica. Ma erano venuti per sostenere Maurice e Josette e per far vedere che si opponevano alla guerra e alla tortura.”

Nel 1983, Josette Audin riceve anche la legione d’onore, in quanto militante del movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli:
“Ufficialmente non c’entrava Maurice Audin ma fu il generale de Bollardière ad appuntargliela. Non era uno qualunque: era IL generale che si era opposto alla tortura durante la guerra d’Algeria. È stato un simbolo molto importante.”

20 giorni dopo la morte di Josette Audin, il 22 febbraio 2019, in Algeria iniziarono le manifestazioni del movimento detto dell’Hirak:
“Il popolo algerino ha iniziato a contestare Bouteflika. Tra l’altro, la piazza Maurice Audin era al centro delle manifestazioni. È solo un vero peccato che abbiano aspettato tanto. Perché lei sarebbe stata contenta di saperlo. Si disperava per com’era diventata l’Algeria rispetto a quello per cui si erano battuti. Loro immaginavano un’Algeria fraterna, multiculturale, egualitaria. Una società più giusta. Per loro l’Algeria avrebbe dovuto essere una campionessa della libertà di stampa e di opinione e purtroppo non è per nulla così. È un peccato, perché sarebbe dovuta essere la lezione da imparare dopo 132 anni di colonizzazione e di repressione subiti dal popolo algerino.”
Da poche settimane, anche Pierre Audin ha ottenuto la nazionalità algerina. Un modo, per lui, di potersi rivolgere alle istituzioni algerine come ha fatto sua madre con quelle francesi. Perché la lotta per la verità, per Maurice Audin e per tutti gli altri, non è ancora finita.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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