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Rifugiati, si fa critica la situazione in Inghilterra

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Hasan ha 22 anni ed è arrivato in Inghilterra dal West Darfur. In Sudan era stato ferito gravemente dai Kanjaweed, i miliziani filogovernativi impegnati nella guerra civile che da anni interessa il Paese. Hasan ha cercato rifugio prima in Libia dove, dopo essere stato picchiato, imprigionato e dopo essere riuscito a scappare, ha vissuto per nove mesi nella zona poco fuori Tripoli. Lì, insieme a molti rifugiati sudanesi, ha cercato qualche lavoro per arrivare a fine giornata. Poi il viaggio di sette ore su un’imbarcazione di fortuna per il Regno Unito, passando per Malta, l’Italia e la Francia.

Anche Abas, che di anni ne ha solo 20, e Ahmed, che ne ha 28, uno di origini kurde, l’altro irachene, hanno lasciato i loro Paesi natali non solo per cercare una vita migliore in Europa, ma soprattutto per scappare da situazioni che mettevano a rischio la loro incolumità.

I tre ragazzi sono solo alcuni dei rifugiati che l’Home Office ha intenzione di trasferire in Rwanda. Il ministero dell’Interno britannico aveva annunciato la decisione e la stipula di un accordo con lo Stato africano ad aprile. “In Rwanda queste persone avranno la possibilità di ricostruire le loro vite in sicurezza”, aveva comunicato l’Home Office attraverso una dichiarazione ufficiale.

Partirà oggi il primo volo diretto in Rwanda. A bordo ci saranno meno di una decina di persone, visto che molti altri sono riusciti, grazie al contributo legale di Organizzazioni non governative locali e internazionali, a sottrarsi alla partenza. Almeno per il momento.

Infatti, il ministro per gli affari esteri britannico, Liz Truss, ha fatto sapere che le persone che non raggiungeranno il Rwanda con il volo di oggi, verranno imbarcate sul prossimo. Il Governo rimane dunque convinto nell’organizzare nei prossimi mesi altre deportazioni che, sempre secondo Truss, sono elemento chiave della lotta contro gli scafisti che si arricchiscono grazie alle speranze e ai sogni dei rifugiati.

Eppure, le reazioni contrarie non sono mancate, non soltanto da parte delle Ong che si battono per i diritti dei rifugiati. Anche istituzioni e personaggi dello star system hanno condannato duramente le decisioni del Governo britannico.

Dal Commissario dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite Filippo Grandi, che ha criticato il piano definendolo “completamente sbagliato” e ha espresso preoccupazione per il fatto che altri Paesi potrebbero seguire l’esempio del Regno Unito, al principe ereditario Carlo d’Inghilterra che si è detto più che deluso da questa politica.

Ma la condanna forse più dura è arrivata dal clero britannico. In una lettera firmata dagli arcivescovi di Canterbury e York e da 23 vescovi, inviata e diffusa dal The Times, i vertici della Chiesa d’Inghilterra hanno parlato di “politica immorale che svergogna l’Inghilterra”. “La vergogna è anche nostra, perché l’eredità cristiana che condividiamo dovrebbe ispirarci nel trattare i rifugiati con compassione, giustizia ed equità”, si legge nella lettera.

Tra le tante iniziative lanciate dalla società civile, c’è invece quella dell’associazione Freedom from Torture, che ha raccolto anche l’adesione di oltre 70 personalità dello star system britannico, come gli artisti Tracy Emin e Antony Gormley, l’ex stella del calcio inglese Gary Lineker, il musicista Akala e il frontman dei the Cure, Robert Smith. Freedom from Torture ha raccolto e inviato più di 15.000 lettere di protesta alle compagnie aeree coinvolte nel piano, come Titan Airways, Privilege Style e Iberojet.

“Quando ho lasciato le torture e la persecuzione in Africa centrale, il Regno Unito mi ha dato l’opportunità di guarire e ricostruire la mia vita”, ha detto Kolbassia Haoussou, il direttore del “survivor empowerment” di Freedom from Torture. “Mi si spezza il cuore se penso che il governo ora sta cercando di mandare in un Paese noto per l’uso della tortura i sopravvissuti come me”.

Eleonora Panseri
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    Redazione
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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

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