Le due potenze mondiali, USA e Russia, non si mettono d’accordo sulla Siria e la situazione sul terreno si complica con l’intervento turco contro i curdi, nella zona di confine. Nel frattempo il regime segna una vittoria a proprio favore a Daraya e prosegue gli scontri contro Daiesh nella provincia di Homs.
Mentre a Jarablus arrivano nuovi carri armati turchi e a Daraya, alle porte di Damasco, si comincia l’evacuazione di miliziani e popolazione, dopo l’accordo di resa, a Ginevra non c’è stato l’accordo tra Kerry e Lavrov, sul cessate il fuoco ad Aleppo ed in generale su una strategia comune per combattere contro Daiesh. Le due parti continuano a lavorare a livello tecnico per trovare una formula di tregua ad Aleppo.
Dopo 10 ore di discussioni, nella conferenza finale, i due capi delle diplomazie hanno detto che si è arrivati a delle chiarificazioni significative sulla Siria. Il punto di disaccordo viene svelato indirettamente da Kerry che ha accusato il regime siriano di lavorare per una soluzione militare della crisi. Lavrov ha puntato il dito contro il “Fronte Nusra” che si nasconde in mezzo all’opposizione moderata e poi ha pungolato la politica estera americana con una stoccata: “Non si può indebolire l’esercito siriano, per non rifare quel che è avvenuto in Iraq e Libia”.
Sul lago Leman, non poteva non palesarsi la delusione della missione ONU in la Siria, per il mancato accordo, ma De Mistura, che ha preso parte al vertice russo-statunitense, non demorde e afferma che si sta lavorando.
Su questo incontro, molti avevano delle forti aspettative. Le premesse c’erano tutte, ma probabilmente Washington non è pronta a rendere esplicita la perdita della partita siriana. La strategia di Obama basata sul concetto di scaricare sulle potenze regionali il compito di gestire le crisi, ha mostrato il suo totale fallimento nel difendere gli interessi statunitensi. L’esempio più eclatante è la Turchia, paese membro della Nato ed una potenza regionale alleata, si ribella alla scelta del Pentagono di sostenere i curdi per arruolarli nella battaglia decisiva contro il sedicente Califfato. Non solo, ma Ankara ingaggia un braccio di ferro con Washington sul caso Gulen, pretendendo l’estradizione in Turchia del predicatore e uomo d’affari, per essere processato per il fallito golpe.
Mosca ha avuto gioco facile a riempire il vuoto e ha riallacciato pienamente i rapporti con Ankara, malgrado la crisi dell’abbattimento del caccia russo. Mentre Kerry e Lavrov erano intenti a cercare una strategia comune per far fronte alla sfida di Daiesh, Putin ha telefonato ad Erdogan ed ha concordato con lui un meccanismo per il rifornimento di aiuti umanitari alla popolazione. intrappolata ad Aleppo.