Faticosamente, è finito anche quest’anno scolastico (qui foto di come io la prof. di Matematica abbiamo atteso i genitori nell’incontro finale post-pagelle su Zoom)
Oh Gesù, che anno… cominciato con la minaccia pandemica ancora ben presente e finita con la sorpresa di qualche alunno ucraino nelle nostre classi. E lì in mezzo, noi docenti, gli alunni, i dirigenti e i genitori: a provare ad accogliere, ad adeguarci e anche a imparare dal rimbalzo che questi grandi eventi trovano nello spazio ristretto d’una classe.
Difficile esprimere quello che sente un docente in queste ore: ogni parola (e persino il silenzio, anche del peggiore di noi) rischia d’essere solo insormontabile melassa di sentimentalismo retorico. Che non ci starebbe neanche male, ma è solo per scusarmi se seguiranno solo pensieri scomposti di fine anno scolastico:
– già soltanto l’immagine della montagna di verifiche che un docente ha dovuto correggere durante tutto l’anno, e che alla fine accumula lì in sala docenti per catalogare il tutto, basterebbe già, da sola, a confutare la minchiata che “si lavora solo 18 ore a settimana”;
– Anche quest’anno resta un mistero perché quell’alunno lì, a fondo classe, durante le lezioni, continuasse a sorridere guardandosi in mezzo alle gambe. O stava usando il cellulare provando a nascondersi, oppure più semplicemente gode di fortune che io posso solo immaginare;
– sulla questione bocciature, bisognerebbe senza ipocrisie cominciare a gridarlo ai quattro venti ai non addetti ai lavori, il noto segreto di Pulcinella: nella scuola dell’obbligo non è che si promuove solo perché un alunno ha raggiunto le competenze richieste: a volte si promuove perché per lui la scuola, benché il soggetto non sappia una favazza di nulla, davvero non può fare nient’altro e non ha più strumenti da spendere su di lui. Come un Ospedale – perdonate l’atroce metafora – che dimette un paziente non perché guarito, ma per indirizzarlo all’hospice. I dibattiti di questi giorni mi pare rendano necessaria questa banale constatazione, dato che in tema di Istruzione il Legislatore ha deliberato, per tuttə e fino a una certa età, che debba essere obbligatoria la frequenza, mica anche lo studio…
– Anche quest’anno noi docenti siamo riusciti a trovare nuovi motivi per dividere ancor di più la loro categoria. Ultimo tra tutti, lo sciopero del 30 maggio: per qualcuno un fallimento annunciato, per altri un’adesione non trascurabile di quasi il 20% che non può essere ignorata. Tante le motivazioni, legate tutte alla mancata risposta alle richieste delle organizzazioni sindacali di modifica del DL 36 su formazione e reclutamento, approvato nei giorni scorsi dal Governo. Su molti punti importanti non è stato neanche possibile intavolare trattativa: nessuna ipotesi di stabilizzazione del personale precario (enormemente penalizzato da ciò che si prospetta); reclutamento trasformato in un percorso a ostacoli con prove sfide selezioni barriere “fai una giravolta falla un’altra volta”, che, unito a un rimandabilissimo e complicato rinnovo delle Gps (le graduatorie dei precari da cui le scuole attingono per assumere i precari), porterà a un numero ancor maggiore di assunzioni tramite MAD, cioè la “messa a disposizione”. In parole povere? Sarà più facile che venga chiamato a far supplenza il signor Ginetto che fino al giorno prima gestiva una tabaccheria, con contestuale crollo della percezione, nell’opinione pubblica, del livello di professionalità della funzione docente (bisogna in qualche modo motivarlo, questo mancato aumento salariale, no? Ma ci torno dopo). Per non parlare del “Concorso a premi” per l’aggiornamento e formazione dei docenti. Della serie: “è obbligatoria per tutti, ma la pagheremo solo a un 40% di loro: i migliori”, cioè i primi classificati di una ancor non ben definita graduatoria interna a ogni istituto. Gli altri (quelli arrivati dopo: quindi quelli a cui, in teoria, servirebbe di più) se la pagassero da soli. Se mi permettete di proseguire con l’allegoria sanitaria: è come pagare le medicine a chi sta bene.
– Niente eguaglierà la potenza vitale dell’urlo gioioso d’una classe al suono dell’ultima campanella; niente eguaglierà l’irrazionalità dell’atto dell’alunno a cui non è fregato una mazza di tutto quello che hai fatto durante l’anno perchè l’ha passato a guardarsi in mezzo alle gambe, ma che, l’ultimo giorno, ti chiede di firmargli a penna il braccio. E allora lì, mentre accetti il rituale, ti viene in mente che l’etimo di “scrivere”, dal greco “gràphein”, è “incidere” (“Ahia, prof!”)
– anche quest’anno, di rinnovo contrattuale e aumenti (e già gli stipendi sono tra i più bassi tra i Paesi più sviluppati) non se n’è parlato. O meglio: se n’è SOLO parlato, tra ipotesi “mancetta 50 euro” al mese e le richieste, ragionevoli, che direbbero 200. L’altro giorno, l’incontro Aran-sindacati si è concluso con un nulla di fatto. Certo, anche lì, un’adesione maggiore al recente sciopero avrebbe giovato: e allora bisognerebbe forse che, kennedynamente, molti docenti cominciassero a chiedersi non “Cosa il sindacato può fare per noi”, ma “Cosa potremmo fare noi per il sindacato”. E soprattutto, devo trattenere un impulso manesco ogni volta che sento docenti affermare che “l’adesione allo sciopero è bassa perchè è una forma di protesta ormai inutile, troppo leggera, innocua: bisogna pensare a roba più forte, tipo blocco scutini, e allora sì che i docenti pertecipano e cambia qualcosa”. Che è un po’ come dire che se a me piace una tipa e questa ha ritenuto di declinare un mio invito ad uscire a bere un drink, be’, sicuramente quel “no” dipende dal mio approccio troppo timido e graduale: avrei dovuto subito proporle direttamente il matrimonio, e lì vedi che avrebbe sicuramente accettato! Lì vedi che successso!”
– Se pensate che la scuola “si deve aggiornare”, “deve stare al passo con i tempi” e cose così, be’, anche soltanto un giro alla Fiera Didacta, organizzata da Indire ogni anno a Firenze (in genere a ottobre; quest’anno, per strascichi di pandemia, a fine maggio) vi avrebbe regalato un po’ di speranza. Certo, lì c’era il meglio dell’innovazione didattica in Italia, troppo spesso in capo all’intraprendenza del singolo docente e raramente espressione d’un percorso organico e di sistema, ok… ma guardate solo il programma di quest’anno e poi prenotatevi per l’anno prossimo: https://fieradidacta.indire.it/en/
– Se la pandemia è stata raccontata con il lessico della guerra (a torto o a ragione), e se la scuola è stata spesso raccontata con il lessico della medicina (a torto o a ragione), perché non chiudere il cerchio raccontando la guerra con il lessico della scuola? Putin bocciato senza esitazioni (“incolmabili lacune in geografia e storia”); Zelensky rimandato (“è intelligente, ma non si applica; e in più sta tutto il tempo a gigioneggiare”); Stati Uniti: voto bassissimo in comportamento (“troppi atti di bullismo nel primo quadrimestre”); Unione Europea: promossa, ma con un sacco di debiti (“viste le troppe assenze strategiche”).
La scuola è il futuro. La scuola non serve a nulla. Il futuro non è più quello di una volta. La scuola, fortunatamente neanche.
Buon futuro e buone vacanze a tutti!