Se ne è andato l’uomo simbolo della Rai democristiana. Ettore Bernabei aveva 95 anni. Era nato a Firenze il 21 maggio 1921. Aveva dedicato la sua vita al giornalismo e all’impegno nella Dc. Il suo rapporto più stretto dentro il partito era con Amintore Fanfani, ma Bernabei aveva (ovviamente) anche grandi entrature in Vaticano dove era di casa alla Segreteria di Stato.
Fu direttore del Popolo, il giornale della Democrazia cristiana, nel 1956, e poi divenne direttore generale della Rai dal 1961 al 1974 e quindi a capo di Italstat prima di diventare produttore tv con la Lux Vide.
La sua esperienza più importante è stata quella in Viale Mazzini. Per 13 lunghi anni è stato l’uomo che ha plasmato la televisione di stato, rendendola una tv di servizio pubblico e divulgativa, con un’idea pedagogica basata per lo più sui valori cattolici. Una sorta di supporto ideologico al “regime” democristiano. Lo fece con un prodotto di qualità soprattutto per quanto riguarda le produzioni di storici sceneggiati televisivi ispirati ai classici della letteratura, come l’Odissea, I Promessi Sposi, I Fratelli Karamazov.
Ma quelli sono anche gli anni in cui vengono realizzate serie come Gli Atti degli Apostoli per la regia di Roberto Rossellini, il Mosè, Gesù di Nazareth firmato da Franco Zeffirelli. E ancora, sono gli anni in cui il il maestro Alberto Manzi insegna a leggere e scrivere a un’Italia che nel 1960 contava ancora il 35% degli analfabeti.
Durante il suo regno, Ettore Bernabei fece nascere anche importanti trasmissioni giornalistiche come Tv7, ma è inutile dire che l’informazione di quella Rai era particolarmente legata al rapporto con i vari governi democristiani che si sono succeduti nel corso degli anni.
Ennio Remondino, ex giornalista Rai, è entrato a Viale Mazzini poco dopo l’uscita di Ettore Bernabei. “Era ancora una Rai “bernabeiana”, una Rai faziosa e di regime, ma rispetto alle epoche successive con un maggiore senso della Stato. Se pensiamo alla Rai nel periodo berlusconiano era tutta un’altra storia. Io, giovane “comunista” sentivo il controllo e la censura che erano stati instaurati durante il regno di Ettore Bernabei, ma era un potere che agiva in modo soft, quasi elegante. Ricordo i miei direttori al Tg1, come Nuccio Fava e Albino Longhi, che – democristiani e bernabeiani di sicura fede – mi permisero comunque di fare inchieste e servizi che in altre testate non sarebbero state possibili”.
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