La nuova stagione di pallacanestro femminile negli Stati Uniti è cominciata con un logo su tutti i parquet del campionato: BG42. 42 come il suo numero di maglia. BG sono le iniziali di Brittney Griner. È una delle cestiste più conosciute del mondo e dal 17 febbraio è in carcere in Russia. L’accusa è possesso di olio di hashish, un derivato della cannabis, utilizzato per i vaporizzatori. In Russia è considerato uno stupefacente e si rischia una condanna fino a dieci anni di prigione.
Dopo mesi di silenzio, pochi giorni fa il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato in via ufficiale che Griner è “detenuta ingiustamente”. Dopo il basso profilo avuto finora, gli USA proveranno quindi a negoziare il suo rilascio con più decisione, in un momento in cui definire delicati i rapporti con la Russia è un eufemismo.
Brittney Griner si trovava in Russia dallo scorso autunno, come sempre negli ultimi anni. Quando la stagione della WNBA si conclude negli Stati Uniti, va a giocare a Ekaterinburg, nella regione degli Urali, in una delle squadre più forti dell’Eurolega femminile. Qui Griner ha più di un milione di dollari d’ingaggio, quasi cinque volte quello che percepisce con le Phoenix Mercury, negli Stati Uniti, dove lo stipendio più alto di una giocatrice professionista non avvicina quello che per un collega maschio della NBA è fissato come il minimo.
Anche se la carriera di Griner è ricca, famosa e vincente, le difficoltà non sono una parte marginale della sua vita. In un’intervista di qualche anno fa alla tv sportiva Espn, Griner ha raccontato di essere stata vittima di bullismo da adolescente per il suo aspetto, per la sua voce profonda. È arrivata a compiere atti di autolesionismo e a pensare al suicidio. Il basket le ha offerto una via di realizzazione, ma non un riconoscimento economico paragonabile a quello delle migliori atlete del suo sport. Da qui la decisione di giocare anche in Cina e in Russia. Non i contesti più semplici per una come Griner: una donna nera, alta più di due metri con i capelli dread, omosessuale al suo secondo matrimonio e attivista LGBT. Difficile passare inosservata, così come avere il diritto di essere sé stessa.
Negli USA alcuni non l’apprezzano per essere stata tra le giocatrici più in vista nel sostegno della WNBA al movimento Black Lives Matter. Nel giugno 2020, in una partita amichevole, Brittney Griner e le Phoenix Mercury, insieme alle avversarie Los Angeles Sparks, uscirono dal campo prima che risuonasse l’inno nazionale. Un gesto di protesta per la morte di Breonna Taylor e contro le violenze della polizia negli Stati Uniti. Griner disse che per tutta la stagione non sarebbe mai rimasta sul parquet durante l’inno. Parole che fecero discutere, così come tanti altri episodi legati alla sua vita sportiva e personale. Il rumore di allora, il silenzio di adesso che si trova in carcere, in Russia, rotto solo in parte in questi giorni con l’inizio del campionato negli Stati Uniti e solo in parte.
Dopo mesi, ancora non si sa dove sia detenuta né in quali condizioni. Soprattutto ancora non si sa fino a quando.
di Luca Parena