La strage di piazza della Loggia a Brescia è “sicuramente riconducibile” alla destra eversiva e “tutti gli elementi evidenziati convergono inequivocabilmente nel senso della colpevolezza di Carlo Maria Maggi”.
Lo hanno scritto i giudici della Corte d’assise d’appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui condannarono, il 22 luglio del 2015, all’ergastolo Maggi, allora ispettore di Ordine nuovo per il Triveneto, e l’ex collaboratore dei servizi segreti Maurizio Tramonte, per l’eccidio del 28 maggio del 1974, che fece 8 morti e 102 feriti.
Carlo Maria Maggi sapeva di poter contare, hanno scritto i giudici, sulle simpatie e sulle coperture, se non addirittura sull’appoggio diretto, di appartenenti di apparati dello Stato e dei servizi di sicurezza nazionale ed esteri. I giudici sottolineano nelle motivazioni della sentenza che Maggi “era l’unica figura che, all’epoca dei fatti, coniugava a un tempo l’ideologia stragista, il parvente instancabile attivismo per riorganizzare in ordine nero gli orfani del dissolto Ordine nuovo e i cani sciolti dell’estremismo neo fascista”.
La strage di piazza della Loggia
Erano le 10.12 del 28 maggio 1974. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista. L’attentato provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre 102. Le vittime furono: Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese; Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante di lettere alle medie; Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica; Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante; Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano; Luigi Pinto, 25 anni, insegnante; Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio; Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio.
“Con queste motivazioni si sottolinea il rapporto tra le stragi e i servizi segreti dello Stato”, dice Federico Sinicato, avvocato dell’associazione familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia.
Ascolta qui l’intervista di Lele Liguori a Federico Sinicato