Saranno due anni senza piazza, gonfaloni e bandiere e soprattutto l’assalto durato settimane contro l’associazione… ma la risposta di due giorni fa dell’Anpi tutta è un fatto politico. Era lo spezzone più numeroso del corteo, come non si vedeva da oltre un decennio, quello in cui tante e tanti si sono riconosciuti. Tanto con la bandiera della pace in spalla e il fazzoletto tricolore al collo. Le due cifre inscindibili di questo popolo che rivendica il ripudio della guerra tanto quanto l’antifascismo.
Siamo una delle poche organizzazioni di massa rimaste in questo Paese, dice un nipote o forse un pronipote di partigiani dietro uno dei tanti striscioni delle sezioni che almeno qui al Nord ci sono in ogni paese, e non solo il 25 aprile. Si sono sentiti manipolati da chi li ha fatti passare per amici di Putin. Ma quasi nessuno è interessato alle polemiche, non lo sono i più anziani, tra loro sfila un commovente Antonio Pizzinato, non lo sono i più giovani arrivati in forze negli ultimi anni.
Scontata la solidarietà al presidente, questa è un’organizzazione. Come le diversità di opinioni nel dibattito interno, perché democrazia e libertà sono la nostra conquista, sotto la bandiera della Costituzione. In tanti dicono che bisognava però reagire a un clima pesante che si respira nel paese, a uno scivolamento in basso e a destra del dibattito politico.
Chiedono a noi giornalisti e media se ci rendiamo conto di quanto ne siamo partecipi. La guerra, ci dicono, porterà crisi sociale e povertà, altro che chiacchiere. Guardano già avanti, perché le polemiche qui non durano. Contano i fatti e la partecipazione. E ieri con calma e senso di responsabilità l’Anpi lo ha ribadito ancora una volta.