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Mirella Alloisio: “Il 25 aprile è il giorno più importante dell’anno”

25 aprile - manifestazione a Milano

Mirella Alloisio, partigiana. Nasce a Sestri Ponente nel 1926 da una famiglia operaia e antifascista, il nonno era socialista e pacifista. Inizia la sua attività nella Resistenza con il nome di battaglia “Olga”; si occupa della propaganda, impara a curare i feriti e a usare le armi. L’organizzazione clandestina a Sestri va sempre più allargandosi e sorgono i Gap (Gruppi di Azione Patriottica) e molte Sap (Squadre d’Azione Patriottica), delle quali fa parte anche il padre di Mirella. La rete dei Gdd (Gruppi di Difesa della Donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà) si allarga e, a causa del tradimento di due ragazzi, Mirella è costretta a cambiare nome e diviene “Marika”. Un anno dopo deve cambiare nuovamente nome e diventa “Rossella”. Nel dopoguerra continua la sua attività politica e giornalistica. Ad oggi scrive ancora con Patria Indipendente, il giornale dell’Anpi. 25 aprile

Quest’anno torneremo a festeggiare il 25 aprile in presenza dopo 2 anni di pandemia.
Come ti senti?

Io considero il 25 aprile il giorno più importante dell’anno e lo festeggerò.
Quest’anno ho deciso di valorizzare quello che ci hanno lasciato coloro che dopo il 25 aprile hanno dato vita alla Costituzione. Voglio dare più forza a quello che la Costituzione rappresenta, la nostra linea politica.

Immagino che tu ti riferisca alle polemiche sulla guerra in Ucraina, l’invio di armi e l’aumento delle spese militari. Qual è la tua posizione a riguardo?

L’articolo 11 della Costituzione dice chiaramente che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. È molto chiaro e noi non possiamo pensarla diversamente.

L’Anpi in questo periodo, e in particolare il presidente Pagliarulo, è sotto attacco: come vedi queste critiche?

Non hanno capito che i problemi si risolvono con la diplomazia. Non è stato fatto nessuno sforzo per risolvere la situazione in maniera diplomatica, si è solo pensato ad aumentare le armi e gli armamenti. Se andiamo avanti così non la finiamo più. Basta con le guerre, basta con le armi.

C’è un atteggiamento internazionale che non aiuta ad andare verso una soluzione diplomatica…

È vero! L’Italia avrebbe dovuto promuovere delle iniziative e delle politiche in grado di stimolare gli Stati Uniti e la Russia a eliminare le guerre dal pianeta. Dobbiamo capire che la diplomazia e la cultura rappresentano il progresso e il futuro. Altrimenti per cosa abbiamo lottato?

Io sono entrata nella resistenza in opposizione alle continue guerre del fascismo. Per me la guerra è l’espressione più brutale dell’uomo. Parliamoci chiaro, la guerra serve solo ai produttori di armi.
Il mondo culturale deve insistere per far si che i mezzi scelti per risolvere i drammi nazionali e internazionali siano discussione e dialogo. Solo così potremmo definirci civili.

C’è chi accusa voi pacifisti di benaltrismo, di equidistanza tra un popolo invaso e un invasore e mette in relazione la lotta ucraina con quella partigiana, nostra della Resistenza.

No, no, no! Non è equidistanza. Noi abbiamo detto chiaramente che siamo contro la Russia, contro Putin e in sostegno dell’Ucraina. Abbiamo stimolato a sostenere, a dare solidarietà concreta al popolo ucraino. Abbiamo accolto in Italia tanti profughi, abbiamo mandato medicinali e sostanze alimentari. Non possiamo sostenere l’invio di armi! Se non la finiamo una volta per tutte, non la finiremo più.

Che augurio vuoi fare ai nostri ascoltatori e ascoltatrici?

Di tener conto che la Resistenza ha lasciato un’eredità formidabile al popolo italiano che è la nostra Costituzione. Applichiamo la nostra Costituzione che serve a cambiare il Paese, cominciando dall’articolo 11: l’Italia ripudia la guerra.
Capisci che termine hanno utilizzato i nostri padri costituenti?
Non hanno detto rifiuta, ripudia. Ma se non cominciamo a fermarla, allora è inutile che ci siamo spesi a fare una Costituzione che, come si dice, è la più bella del mondo.

  • Autore articolo
    Alessandro Braga
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    Il femminicida non è un malato, ma un figlio sano del patriarcato, cresciuto in una cultura che considera la donna un essere inferiore. Da proteggere, sminuire, controllare, e nei casi più estremi, da picchiare o uccidere. In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa, spesso per mano di chi dovrebbe amarla. E oltre agli omicidi, un sommerso di violenze – dal catcalling alla violenza psicologica – pesa sulle donne, mentre la società si interroga troppo poco sulle sue responsabilità. Da questa riflessione nasce il progetto ideato dal Teatro Carcano, scritto da otto autori uomini e interpretato da Alessio Boni e Omar Pedrini, un viaggio nella mente del carnefice per analizzare il retaggio culturale che alimenta la violenza di genere. Inaugurato il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo spettacolo è un atto di autocoscienza collettiva che punta a smantellare le radici patriarcali della nostra cultura. Ospite a Cult, Alessio Boni ne ha parlato con Ira Rubini.

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