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Il terzo round di negoziati in Bielorussia, i corridoi di propaganda di Putin e le altre notizie della giornata

profughi ucraina moldavia ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 7 marzo 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Nel dodicesimo giorno di guerra in Ucraina si è svolto il terzo round di negoziati in Bielorussia tra una delegazione russa e una ucraina. I combattimenti, però, non si sono interrotti neanche oggi, in corso anche a Irpin, alla periferia di Kiev: abbiamo raccolto delle testimonianze di quanto accaduto nelle ultime ore. Putin, intanto, ha sì aperto dei corridoi umanitari per permettere ai cittadini ucraini di fuggire dalla guerra, ma li ha aperti con destinazione finale la Russia e la Bielorussia. La repressione in Russia contro chi protesta contro l’invasione dell’Ucraina si inasprisce e nel Paese si inizia a limitare l’acquisto di beni essenziali in grandi volumi per evitare che si sviluppi il mercato nero. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Il terzo round di negoziati non ferma i bombardamenti sull’Ucraina

Nel giorno in cui c’è stato il terzo round di colloqui tra le delegazioni di Mosca e Kiev, sono cadute ancora bombe russe sull’Ucraina. Oggi i combattimenti non si sono fermati. Sulla costa sud del paese, ma anche alla periferia di Kiev. I civili non riescono a fuggire dalle città assediate, dove mancano acqua, cibo, elettricità. Anche oggi i corridoi umanitari annunciati non sono stati attivati. Partiamo allora dalla situazione sul campo. In diretta Emanuele Valenti:

Questa la situazione, mentre è terminato poco fa il terzo round di colloqui tra le delegazioni di Mosca e Kiev in Bielorussia. E secondo Kiev ci sarebbero piccoli segnali positivi:


 

Le testimonianze da Irpin, periferia di Kiev

A Irpin, alla periferia di Kiev, è in corso una fuga di massa dopo le violenze di questi giorni, con la distruzione di un ponte e l’uccisione di diversi civili. Stamattina il reporter Claudio Locatelli è stato sul posto e ce lo ha raccontato così:

Della situazione a Kiev abbiamo parlato con il fotografo Alfredo Bosco, che ha lasciato la capitale da poche ore e adesso è a Leopoli, nella parte occidentale dell’Ucraina:


 

La repressione in Russia continua a colpire chi protesta contro l’invasione

In Russia i negozi limiteranno l’acquisto di beni essenziali in grandi volumi per evitare che si sviluppi il mercato nero, in particolare delle merci che provengono dall’estero e sono soggette a sanzioni. Per i cittadini che hanno rapporti con l’estero si vedono le prime conseguenze. In particolare per chi deve trasferire denaro a familiari fuori dal Paese. 
Intanto la repressione continua a colpire chi protesta contro l’invasione dell’Ucraina. Sono stati licenziati i firmatari di una petizione contro la guerra – che Putin definisce “operazioni speciali” in Ucraina – mentre gli arrestati tra coloro che hanno partecipato a manifestazioni sono migliaia in tutto il paese.
 Maria Chiara Franceschelli, ricercatrice della Scuola Normale superiore di Pisa, specializzata in società civile nell’ex spazio sovietico
:


 

I racconti dei profughi ucraini arrivati in Italia

(di Anna Bredice)

Dalle 9 di questa mattina un flusso continuo. Ieri sono stati cinquecento, oggi le stime sono molto più alte, a gruppi di famiglie i profughi ucraini si avvicinano al grande tendone al lato della stazione Termini per fare il tampone e ricevere una tessera sanitaria. A tradurre ai volontari della Croce rossa che li accolgono sono spesso le loro madri, che si trovano in Italia già da anni e che non vedevano l’ora di riabbracciare i parenti. Se hanno figli maschi, questi sono rimasti in Ucraina e qui sono arrivate le loro nuore con i nipoti, molte madri sono andate in Polonia a prenderli per portarli a Roma. Moltissimi i bambini, spauriti, non sorridono e neppure ancora piangono. Si guardano intorno con gli occhi grandi, una nonna racconta che il nipote ripete che tra dieci giorni finisce la guerra e potrà tornare. Sono i racconti dei profughi qui a Roma, ma sono gli stessi racconti nelle altre città dove stanno arrivando grazie ad una rete di solidarietà molto intensa, oltre a quella famigliare data da una comunità ucraina ben presente in Italia. Nel cortile dietro l’hub, nell’attesa del tampone, raccontano la fuga dalle bombe, le case vicine ad un aeroporto colpito, il sonno solo per mezz’ora perché poi bisogna correre nei rifugi, e poi i treni strapieni e la coda al confine per passare dall’altra parte e mettersi in salvo:


 

I corridoi di propaganda: il cinico messaggio di Putin agli ucraini

(di Michele Migone)

Alla fine, il presidente francese Macron si è sentito usato. Domenica è stato un’altra ora e mezza al telefono con Vladimir Putin per convincerlo a fermare l’invasione dell’Ucraina. Tutto inutile. Una cosa però Macron pensava di avere ottenuto: l’apertura dei corridoi umanitari per evacuare i civili dalle città assediate. Sabato era stato impossibile farlo perché, secondo gli ucraini, i russi avevano continuato a bombardare. Mosca ha negato le accuse. Putin ha assicurato Macron che lunedì sarebbe stato diverso. Quando oggi il presidente francese ha capito lo scherzo che gli era stato tirato dal leader del Cremlino ha convocato la stampa per rilasciare un’intervista con cui ha accusato Putin di cinismo morale e politico. Già, perché Mosca ha effettivamente aperto dei corridoi umanitari ma con destinazione finale la Russia e la Bielorussia, non le zone dell’Ucraina lontane dal fronte e sotto il controllo del governo di Zelensky. Per gli abitanti di Mariupol, Kharhiv, Kiev l’unica possibilità offerta dai militari russi di uscire dall’incubo dei bombardamenti era accettare di entrare dentro i confini del paese aggressore. In qualità di rifugiati? Qualcuno li ha subito ribattezzati corridoi di propaganda. Perché in effetti uno degli obiettivi di questa mossa russa è stato subito abbastanza evidente: a beneficio delle telecamere, invertire la narrazione dell’invasione e riportarla alla retorica di Putin: gli ucraini scappano dai nazionalisti per rifugiarsi nelle braccia dei liberatori. Invece, come era prevedibile, nessuno ha usato questi corridoi. Perché le autorità di Kiev li hanno rifiutati, perché i civili, che si sentono ora i bersagli delle bombe russe, hanno continuato a scappare nella direzione opposta. Mosca sapeva bene che questa sarebbe stata la reazione alla sua mossa. Quindi, ben oltre la propaganda, il messaggio che voleva mandare agli ucraini, stremati dall’assedio era chiaro: avete solo un modo per uscire dalla guerra: la resa.

La marcia per la pace in Ucraina a Monte Sole

(di Riccardo Tagliati)

Faceva freddo ieri pomeriggio a Monte Sole, Marzabotto. Il timido sole di fine inverno sulle colline bolognesi non ha fermato le oltre mille persone che hanno risposto all’invito a marciare nei luoghi degli eccidi nazifascisti del 1944 per dire no alla guerra in Ucraina, a tutte le guerre.
Sindaci, amministratori, religiosi, politici ma anche tante famiglie, molte con bambini. Bandiere della pace, il tricolore dell’Anpi e qualche bandiera dell’Ucraina per quella che è una sorta di staffetta pacifista tra i luoghi della memoria italiana. Monte Sole infatti fa parte di una rete insieme a Carpi, dove c’è il campo di concentramento di Fossoli, a Casa Cervi, alla Risiera di San Sabba, Sant’Anna di Stazzema: luoghi che testimoniano la brutalità della guerra e che sono in campo per la pace. Simone Fabbri è il presidente della scuola di pace di Monte sole.

La marcia di Monte Sole è finita sulla tomba di don Giuseppe Dossetti, il partigiano, il costituente, il frate che molto si impegnò perché con l’Articolo 11 la nostra Costituzione rifiutasse per sempre la guerra.


 

Le due posizioni della sinistra francese sulla guerra in Ucraina

(di Luisa Nannipieri)

La sinistra francese ha condannato unanimemente l’invasione russa del 24 febbraio. Ma, come si dice, il diavolo è nei dettagli. Quel giorno l’ecologista Yannick Jadot ha firmato un comunicato in cui chiedeva di estromettere la Russia dalla comunità internazionale ed è sceso in piazza con Christiane Taubira circondato da bandiere Ucraine. La socialista Anne Hidalgo ha sottolineato la sua vicinanza al popolo e allo stato ucraino mentre il suo partito chiedeva una risposta europea all’altezza della situazione.
Jean-Luc Mélenchon, che in quel momento era in campagna nell’Oceano Indiano, ha parlato di una escalation insopportabile ma ha invitato a usare la diplomazia per ottenere un cessate il fuoco immediato e il ritiro di tutte le truppe straniere dal paese.
Mélenchon, che secondo i sondaggi sarebbe il meglio piazzato a sinistra con il 12% dei voti, è stato subito attaccato dai verdi e dai socialisti. Se Jadot e Hidalgo, dati al 6% e al 3%, accusavano il candidato della France Insoumise di essere troppo tenero con la Russia già dall’inizio della crisi, quando chiedeva di ascoltare le preoccupazioni del Cremlino sull’espansione della Nato, la socialista è arrivata ormai a classificarlo apertamente come un “agente che fa gli interessi di Putin” tanto quanto Marine Le Pen ed Eric Zemmour.
Dall’inizio della guerra a oggi, le posizioni delle anime della sinistra, che sono rappresentate da ben sei candidati sui 12 ufficialmente annunciati questo lunedì dal consiglio costituzionale, si sono fondamentalmente cristallizzate su due fronti. Da un lato troviamo i socialisti e i verdi, favorevoli all’invio di armi in Ucraina e ad accelerare la nascita di una difesa europea. Ma anche ad imporre un embargo sul gas russo e ad aumentare le sanzioni obbligando ad esempio gruppi come Total o il gigante del lusso LVMH a lasciare la Russia. Non stupisce quindi che Jadot e Anne Hidaglo fossero in prima linea alla manifestazione parigina del 5 marzo, dietro uno striscione in sostegno alla resistenza Ucraina.
Dall’altro lato, lo stesso giorno, Mélenchon ha trasformato il suo meeting di campagna a Lione in meeting per la pace, distribuendo ramoscelli d’ulivo e rivendicando il suo essere “non allineato”. Cioè qualcuno che “non è disposto ad accettare né l’escalation militare né quella diplomatica” e che rifiuta di “accettare un ordine mondiale che vede da un lato la Nato e dall’altro un blocco russo-cinese.” Una posizione vicina a quella del comunista Fabien.
Russel, favorevole a una soluzione politica e diplomatica, visto che “l’alternativa sarebbe un’escalation guerriera e una catastrofe per l’umanità”. Ma anche a quelle dell’operaio anticapitalista Philippe Poutou, che parla di conflitti tra potenze imperialiste per interposta nazione, o di Nathalie Arthaud di Lutte Ouvrière, che si è detta disgustata da un’Unione Europea guerrafondaia. Tra sinistra responsabile, sinistra non allineata e sinistra anti-imperialista, i francesi che andranno a votare tra cinque settimane avranno l’imbarazzo della scelta.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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