La Convention democratica si apre nel caos.
Lunedì, nel primo giorno di Convention, parla Bernie Sanders, e centinaia di suoi sostenitori sono arrivati a Philadelphia per ascoltarlo. Li si vede per le strade, riconoscibili per le magliette, i cappellini, le spille, con la scritta e il volto del senatore Sanders. Ma i sostenitori di Bernie Sanders si sono anche fatti sentire. In centinaia hanno manifestato ieri, contestando la gestione delle primarie del partito democratico e urlando il loro disappunto per la candidatura di Hillary Clinton.
“Non la voterò mai, non è la mia candidata”, mi ha detto Erin, una ragazza che lavora in un ospedale e Philadelphia. “Le procedure di voto nel partito democratico devono cambiare”, spiega invece Donna, una sostenitrice di Sanders che arriva dalla California. E per Jeff Jtaz, un ragazzo di Minneapolis, “il partito ha fatto un errore a chiudersi ai più giovani”.
L’ultima ragione dello scontro tra democratici e sostenitori di Sanders riguarda la chair del Democratic National Committee, Debbie Wasserman Schultz, costretta a dimettersi dopo la diffusione da parte di WikiLeaks di 19 mila email, sue e dei suoi collaboratori, che mostrano come il partito abbia avversato la candidatura di Bernie Sanders. In una email Schultz definisce Jeff Weaver, il campaign manager di Sanders, un “dannato bugiardo”; in un’altra, uno “stronzo”.
Nella mail di un funzionario democratico si pensa di far passare il messaggio che Sanders sia “ateo”, per scatenare contro di lui “i battisti del Sud”. In un’altra ancora, i dirigenti democratici progettano di nuocere a Sanders diffondendo la voce che la sua campagna sia in grave difficoltà.
La notizia delle dimissioni di Waaserman Schultz, da sempre in pessimi rapporti con il senatore, è stata accolta con entusiasmo dai supporters di Sanders; ma è stata un’altra, inequivocabile prova del fatto che i democratici hanno fatto di tutto, e spesso con mezzi poco corretti, per favorire Hillary Clinton.
Quando stasera Sanders salirà sul podio della Convention, dovrà dunque fare molto per placare le proteste dei suoi e richiamare quell’impressione di unità che i dirigenti del partito gli chiedono. Alcuni temono che possa ripetersi quello che è successo la settimana scorsa con Ted Cruz, durante la Convention repubblicana di Cleveland: e cioè, proteste clamorose in sala, a mostrare una forza divisa e in crisi.
Per una possibile tregua con i sandersiani, dipenderà anche molto da quello che i democratici saranno disponibili a concedere. I delegati di Sanders alla Convention chiedono anzitutto delle innovazioni nelle procedure di voto alla primarie. Vogliono che, alle prossime primarie, siano ammessi a votare tutti quelli che lo desiderano, e non solo i democratici “registrati”. E vogliono abolire i superdelegati o, nel caso non fosse possibile arrivare a una misura così estrema, costringere i superdelegati a votare sulla base dell’esito del voto popolare. Sono richieste che non incontrano il favore delle dirigenza democratica, perché toglierebbe potere e capacità di controllo sulle procedure di voto alla macchina del partito.
C’è poi il tema dei programmi. I sandersiani sono riusciti a ottenere alcune cose importanti nella piattaforma che verrà approvata a Philadelphia: i minimi salariali federali a 15 dollari all’ora; il carbon pricing, l’obbligo di pagare sulla base delle emissioni di CO2; un programma di aiuti agli studenti che si iscrivono all’università. Un linguaggio più critico nei confronti della deregulation finanziaria, all’interno della piattaforma ufficiale del partito, sicuramente aiuterebbe a portare la pace.
Un’ultima cosa. Lo scarso entusiasmo che Hillary Clinton solleva tra suoi stessi sostenitorisi riflette ormai anche nelle sue chance di andare alla Casa Bianca. Il sito FiveThirtyEight di Nate Silver, di solito molto accurato nelle previsioni, dà Donald Trump avanti di 15 punti nelle probabilità di vittoria. L’analisi arriva dopo la conclusione della Convention repubblicana, quindi dopo una fase di particolare esposizione mediatica per Trump. Ma è un’analisi che preoccupa i democratici e che mostra che la corsa di Hillary Clinton è tutta in salita.