Canti, balli e molte lacrime si sono visti ieri di fronte alle porte della Corte Costituzionale a Bogotà. Il massimo tribunale colombiano si è finalmente espresso sui ricorsi presentati dalle attiviste di Giusta causa intorno alla proibizione dell’aborto nel paese, e 5 giudici su nove hanno votato a favore della depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza entro le 24 settimane di gestazione. Concluso quel periodo saranno comunque valide le causali in vigore dal 2006 che consentono di abortire legalmente quando la gravidanza costituisce un rischio per la salute fisica o mentale della donna, quando prodotto di abusi sessuali o si riscontrino malformazioni del feto incompatibili con la vita.
Un trionfo storico del movimento femminista Colombiano, il secondo paese più popoloso del Sud America e con una tradizione cattolica e conservatrice profondamente consolidata. Si stima che ogni anno vengano realizzati circa 400.000 aborti clandestini nel paese, e che più di 70 donne muoiano a causa delle complicazioni.
La decisione di ieri è definitiva ed ha effetto immediato. Tra le prime misure ordinate dalla corte si trova anche la revisione dei più di 5.000 processi giudiziari cominciati contro donne accusate di aver abortito, e che secondo il codice penale finora vigente rischiavano una condanna di 4 anni di reclusione. Tutti i casi di interruzione della gravidanza portata avanti entro le 24 settimane di gestazione dovranno essere archiviati.
Il Congresso e il governo dovranno ora prendere atto della decisione e modificare la normativa vigente per garantire alle donne colombiane l’accesso al diritto acquisito dopo anni di lotta, con strutture mediche adeguate e personale sanitario preparato. Un cammino che potrebbe comunque presentare seri ostacoli. Nel congresso infatti sono stati presentati negli ultimi anni 17 progetti di legge per la legalizzazione dell’aborto, ma nessuno è mai giunto a discussione a causa dell’ostruzionismo e manovre dilatorie portate avanti da diverse forze politiche di centro e centrodestra. L’attuale governo conservatore poi si è già espresso duramente contro la decisione della corte. Secondo il presidente Ivan Dunque la depenalizzazione dell’aborto lo trasformerebbe in un metodo contraccettivo quotidiano, e ha ribadito la sua opposizione. Il rappresentante della Colombia all’Organizzazione degli Stati Americani Alejandro Ordoñez ha addirittura dichiarato che uno stato che decide di eliminare una porzione di esseri umani nelle loro prime 24 settimane è uno stato totalitario e genocida. La decisione poi arriva a tre settimane dalle elezioni legislative del 13 marzo, a cui seguiranno quelle presidenziali il 29 maggio. Una lunga campagna elettorale dunque, dove le forze conservatrici e le diverse chiese presenti sul territorio colombiano lanceranno durissime campagne contro il movimento femminista e la decisione della corte. Basti ricordare che nel 2016 l’inclusione di un capitolo dedicato alle questioni di genere nell’Accordo di Pace con la guerriglia delle Farc mobilitò milioni di persone in tutto il paese che riuscirono a bloccare il trattato al referendum disposto dal governo di Juan Manuel Santos.
Ma la decisione oramai è presa ed è irrevocabile, e la Colombia si trasforma nell’ennesimo paese latinoamericano a modificare le proprie leggi per riconoscere il diritto all’aborto dopo Cuba, Uruguay e Argentina.