“Una nazione senza di me, non è una nazione intera. Una nazione senza dieci, cento mille persone, non è una nazione intera”. Lo scriveva la poetessa russa Natalia Gorbanevskaya nel 1968. Si riferiva all’invasione russa della Cecoslovacchia, ma – mutatis mutandis – può essere applicata anche all’attualità. Nel raccontare la crisi ucraina e la sempre più probabile invasione russa, spesso ci si è dimenticati di considerare le voci che – da Mosca e dalla Russia intera – si oppongono alla guerra. Non è solo l’occidente, infatti, ma anche molti russi. L’opposizione parte dal popolo, dal barista 31 di Rostov che, citato dal Moscow Times, dice “una guerra sarebbe un vero disastro”. O dai russi che dal Donbass dicono sconsolati “tanto siamo solo spettatori”.
Ma il dissenso c’è anche nel mondo culturale russo, tra gli intellettuali. Come la scrittrice Lyudmila Ulitskaya che parla di “follia” da parte del Cremlino, o l’attrice Liya Akhedzhakova che – insieme ad altre star del mondo dello spettacolo e della musica russo – ha firmato una lettera aperta che dice: “Nessuno ci sta minacciando, nessuno ci sta attaccando. Spingere per una guerra è immorale e irresponsabile”.
Ma un certo malumore – e questa è la parte più interessante – sembra esserci anche ai piani alti, a Mosca. Secondo diversi osservatori russi, la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza presieduto ieri da Vladimir Putin, al seguito del quale sono state riconosciute ufficialmente le due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, è stata caratterizzata da una serie di stranezze e anomalie che vale la pena analizzare. La prima anomalia è che la riunione è stata trasmessa in diretta TV, è stata fatta in presenza – e non a distanza come al solito – e, secondo alcuni, sarebbe stata addirittura registrata prima. Mark Galeotti, professore di sicurezza interna russa, sul Moscow Times scrive che Putin chiedeva a tutti presenti la propria opinione, ma era chiaro che la risposta giusta fosse una sola. “Quando Putin ha chiesto se qualcuno non fosse d’accordo con il riconoscimento delle repubbliche”, scrive Galeotti, “il silenzio era assordante. Ma era chiaro che c’erano dei pezzi grossi non così entusiasti all’idea di violare apertamente il diritto internazionale e attirare più sanzioni”. Le titubanze e le risposte non dirette sono state incalzate e gli interventi dubbiosi interrotti. A partire dal ministro degli esteri Lavrov, fino a Sergei Naryshkin, capo dei servizi d’intelligence esterni.
Un ultimo aspetto da considerare in questo quadro è quello riportato dal Guardian, che parla di seri dubbi all’interno dell’esercito e dei servizi di sicurezza russi sulla possibilità di invadere l’Ucraina.
In Russia, quindi, una voce contraria c’è, e non è solo tra i pacifisti o gli oppositori. C’è, ma è stata silenziata.