Sembra uno scherzo, ma non fa per niente ridere. Grazie alle commesse pubbliche per i vaccini, dal 2021 Pfizer, che domina il mercato europeo e statunitense in una situazione di quasi monopolio, ha rivisto almeno 3 volte al rialzo i suoi conti. Il 2021 ha quasi triplicato i profitti, portandoli da 1,6 a 3,9 miliardi di euro, e raddoppiato i ricavi a 81,2 miliardi.
Le stime per il 2022 sono di 32 miliardi di ricavi dal vaccino e 22 miliardi dagli antivirali. Eppure pare proprio che non ci sia spazio per i 27 milioni che servono allo stabilimento di Catania, dove la multinazionale del farmaco produce antibiotici ed antitumorali. Il 3 febbraio a lavoratrici e lavoratori arriva la notizia che ci saranno 130 esuberi. Ma senza dire chi.
La lista con i nomi però arriva solo lunedì, dopo 4 giorni di angoscia, tramite il solito messaggino sul cellulare. Altri 110, tra interinali ed a termine, non saranno rinnovati. Lo stabilimento perderà così un terzo dei suoi 650 dipendenti. Ma la spietatezza del mercato non lascia scampo: già a ottobre Pfizer aveva fatto sapere di non essere più interessata a tenere Catania, che già aveva subito cali di commesse, dimezzando l’investimento.
Lo stabilimento lasciato a se stesso, dicono i sindacati, senza alcuna intenzione di rinnovare la produzione che per i nuovi farmaci anti-COVID sarà ad Ascoli. A ottobre le prime mobilitazioni, ma da lì la politica nazionale e locale non ha mosso un dito. Il 15 febbraio ci sarà una nuova manifestazione in occasione dell’incontro nella sede di Confindustria. Il 4 marzo ci sarà una nuovo sciopero contro quella che per i lavoratori è una crudeltà: per Pfizer, Catania vale l’1% dei soli sovraprofitti del 2021. Per chi ci lavora, l’intera vita.