La serie A di calcio è in crisi e in generale lo è tutto il calcio italiano. Crisi più economica che tecnica. I due anni di pandemia, fra mancati introiti e incassi ridotti a causa della chiusura degli stadi o della riduzione delle presenze hanno fatto perdere alla serie A un miliardo e mezzo di euro. E ora si rischia la bancarotta.
Il mondo del calcio piange miseria e disperazione. La cosa strana è che lo faccia proprio nei giorni in cui impazza il calcio-mercato e stiano fioccando offerte da milioni di euro per cercare di migliorare le potenzialità delle formazioni di Serie A in vista della seconda parte del campionato.
Negli ultimi giorni le lamentazioni del presidente della Federazione Giuoco Calcio Gravina e dell’amministratore delegato dell’Inter Marotta si sono alzate stentoree sui media: il calcio rischia la bancarotta!
Negli ultimi due anni la perdita della Serie A è stata di circa 1 miliardo e mezzo di euro dovuti soprattutto ai mancati incassi per la chiusura degli stadi e ai minori introiti connessi. E ora il mondo del calcio chiede più “rispetto” che, tradotto in termini terra terra, vuol dire contributi statali più consistenti nel Decreto ristori.
I tempi sono stretti: a febbraio scade il termine per pagare gli stipendi dei giocatori e i contributi. Il sistema calcio ha un indebitamento di 5 miliardi e senza aiuti il rischio del collasso è concreto. La Federazione e la Lega Calcio chiedono la rateizzazione dei pagamenti dell’Irpef e la cancellazione della norma che vieta le sponsorizzazioni delle società di scommesse che era stata introdotta nel cosiddetto Decreto Dignità concetto che a quanto pare non ha più quella importanza che aveva nel 2019 quando è stato approvato.
Il sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali ha promesso un tavolo tecnico per analizzare la situazione. Resta un dubbio a cui però non viene data risposta: quando una situazione economica non è più gestibile oltre a cercare nuovi introiti, in questo caso guarda un po’ dallo Stato, forse sarebbe il caso di ridurre le spese e i costi. Ma questo è un tasto dolente su cui il calcio italiano a parole dice di voler intervenire ma nei fatti riesce a farlo molto meno.