Una cosa va subito chiarita: la sentenza dei tre giudici della Corte Federale dell’Australia che ha respinto questa mattina il ricorso presentato da Djokovic contro la decisione del Governo di revocare il visto di ingresso nel paese è una sentenza che ha poco di giudiziario e molto di politico.
Il dibattimento è durato parecchie ore e le due parti, sia gli avvocati di Djokovic che quelli del governo australiano, hanno presentato ben poche prove ma molte valutazioni su come è stata vissuta e gestita la vicenda. Davanti alla Corte Federale non era in discussione la veridicità dei documenti presentati da Djokovic per ottenere il visto che gli era stato concesso. Non si discuteva di questo.
In questi giorni si è parlato molto del fatto che Djokovic nel modulo compilato prima di arrivare in Australia avesse indicato che nei 14 giorni precedenti all’ingresso nel paese non avesse lasciato la Serbia. Cosa che poi si è dimostrata non essere vera.
Lo stesso avvocato del Governo australiano ha però riconosciuto che si trattava di un errore fatto non da lui, ma da una persona del suo staff in modo del tutto veniale e non per aggirare le norme sull’ingresso in Australia. Djokovic era diventato un simbolo e il Governo australiano non poteva perdere la faccia davanti ai propri cittadini.
Il tennista lasciando l’Australia ha rilasciato una dichiarazione in cui si dice molto dispiaciuto per la decisione della Corte Federale ma chiede a tutti di concentrarsi sul torneo di tennis più che parlare della sua vicenda.
Resta il problema politico: alcune organizzazioni che tutelano i diritti civili in Australia hanno già denunciato la pericolosità per la democrazia della sentenza di questa mattina che potrebbe creare un pericoloso precedente per bloccare i viaggiatori con opinioni politiche indesiderabili che non rappresentano un rischio reale per la comunità.
E infine il caso Djokovic ha fatto scoprire, per chi ancora non lo sapeva, la durissima politica sull’immigrazione del Governo australiano con l’ormai purtroppo famoso Park Hotel di Melbourne in cui i migranti vengono rinchiusi, in alcuni casi anche per anni, senza purtroppo avere le tutele legali di cui ha goduto Djokovic.