Il racconto della giornata di venerdì 7 gennaio 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il diffondersi della variante Omicron del coronavirus dipinge orizzonti di grande preoccupazione per l’affollamento negli ospedali, in particolare nei reparti ordinari. Anche la scuola, che il governo pare irremovibile nella volontà di far ripartire il 10 gennaio, è un fronte caldo per la gestione della pandemia. La sanità lombarda si dimostra sempre più un terreno per esercitare privilegi per chi se lo può premettere economicamente: tra gli stessi servizi si misurano in svariati giorni le differenze nella velocità di erogazione tra utenti privati e “mutuati”. La città di Bologna si stringe attorno alla famiglia di Michele Ammendola, attivista antimafia e antifascista, prematuramente scomparso. Braccio di Ferro tra gli avvocati di Djokovic e le autorità australiane, in attesa del pronunciamento del tribunale sulla partecipazione del tennista numero uno del mondo al primo torneo del Grande Slam del 2022.
I dati sul contagio e la preoccupazione per ospedali e scuole
L’epidemia in Italia: sono ancora vicini ai 200mila i nuovi contagi in 24 ore. Precisamente oggi il bollettino riporta 197.552 casi. Il tasso di positività è al 16,2%, in calo rispetto al 22% di ieri. Le vittime sono invece 184, in calo rispetto a ieri, quando erano state 223.
La situazione dunque si conferma critica: il tracciamento dei contagi è praticamente saltato, di fronte ai numeri così grandi della variante Omicron. Il peso sugli ospedali cresce. La preoccupazione è grande anche per la scuola, in vista della riapertura di lunedì.
Restiamo per il momento sui numeri. Le proiezioni dicono che a questo ritmo, in poche settimane saremo di fronte a cifre ancora più imponenti. Il fisico Giorgio Sestili, curatore dell’osservatorio “Coronavirus – Dati e analisi scientifiche”
I pazienti in terapia intensiva, 58 in più in 24 ore. I ricoverati con sintomi nei reparti ordinari sono 339 in più rispetto a ieri. E’ vero che i vaccini danno protezione dalla malattia grave e che la Omicron sembra avere effetti meno forti delle varianti precedenti. Tuttavia con questi numeri la situazione degli ospedali è destinata ad aggravarsi. Sentiamo ancora Giorgio Sestili.
Tutti contro il governo sulla ripresa della scuola
(di Chiara Ronzani)
Da un lato c’è il governo deciso a tenere fermo il punto della didattica in presenza. Dall’altro le regioni, in particolare quelle del Sud, che temono un disastro sanitario e hanno deciso di rinviare il rientro: oggi la Sicilia ha annunciato uno slittamento di tre giorni, dopo che la Campani aveva fissato in una ordinanza il 31 gennaio. Anche il presidente pugliese Emiliano ha detto che le regioni hanno tentato in tutti i modi di posticipare la ripresa per le scuole dell’infanzia e primarie, in cui i vaccinati sono ancora pochi.
Critici anche molti sindaci, l’ordine dei medici e i sindacati. Un incontro stamattina tra rappresentanti dei lavoratori e governo non è stato risolutivo: c’è il problema delle mascherine che ancora non sono ovunque disponibili, dei controlli che i dirigenti scolastici dovranno fare sugli studenti in caso di due positivi, e sapere se sono o meno vaccinati è un dato sensibile. Il ministero ha stabilito che saranno autorizzati a chiederlo, ma domandarlo alle famiglie non sarà semplice. Meglio chiederlo alle autorità sanitarie, ma questo non sarà automatico e dunque? E dunque i tempi rischiano di diventare lunghi e l’efficacia del sistema dubbia. E poi i tamponi: tanti quelli che dovranno essere fatti per la cosiddetta autosorveglianza. Il ministero ha detto che saranno gratuiti con la ricetta del medico di base, ma sappiamo che il sistema di tracciamento è in tilt, sarà in grado di sopportare le richieste provenienti dalle scuole?
L’impressione dei sindacati è che si sia atteso troppo e che, ora che il rientro si avvicina, la scuola sia disarmata davanti all’ondata di contagi che sta arrivando.
L’associazione nazionale presidi ha provato a fare una stima: l’ipotesi è che siano 100mila i lavoratori della scuola che lunedì non potranno essere in aula a causa di positività o quarantena, e a breve le classi in dad potrebbero essere decine di migliaia.
Sanità Lombarda: veloce per i ricchi, inefficiente per tutti gli altri
(di Massimo Alberti)
Quarantene tagliate, possibilità di muoversi anche per chi ha avuto contatti con i positivi: le nuove regole del governo sono focalizzate a non rallentare la produzione, all’efficienza. A chiederle per prime molte regioni. Eppure poi, se hai sintomi, anche lievi, e il tuo medico di base ti ha prescritto un tampone col servizio sanitario, puoi anche aspettare per 4-5 giorni l’esito, forse prendendo in parola il commissario Figliuolo secondo cui, se si sta in fila per i saldi si può fare anche per i tamponi.
Succede, ancora una volta, in Lombardia. Esiti del tampone molecolare in 36-48 ore, ti dicono appena lo fai. Eppure c’è chi in casa lo attende appunto da 4 o anche 5 giorni, prima di vedere il referto sul fascicolo sanitario elettronico, e sui social le testimonianze e le proteste si moltiplicano. Chi scrive, ne è coinvolto in prima persona, in attesa del referto da quasi 4 giorni.
Ma naturalmente non è così per tutti. Per chi va al nuovo hub di Rho, con prescrizione e senza appuntamento, ce la si cava, si fa per dire, con qualche ora di coda in auto al drive trough per fare il test. Ad eseguire i tamponi, per conto della Regione, è un soggetto privato: il gruppo San Donato, tra i colossi della sanità privata in Lombardia. Le ore e i giorni passano, ma il referto non arriva. Salvo poi vedere, sul loro sito, che lo stesso Gruppo San Donato incaricato dalla regione per il sevizio pubblico, se gli paghi dai 120 ai 145 euro, il referto del tampone molecolare fatto privatamente te lo fa arrivare anche in 1 o 2 ore, dichiarano.
È la solita storia della sanità lombarda: se hai i soldi, e paghi, hai visite e referti in tempi brevi. Altrimenti, aspetti. Alla faccia di efficienza e produttività.
Bologna in lutto per la scomparsa dell’attivista antimafia Michele Ammendola
Si chiamava Michele Ammendola e a Bologna era molto conosciuto: è morto a 46 anni dopo aver dato a vita a un progetto sociale che ha il suo centro nella pizzeria “Porta Pazienza”. Un simbolo della lotta alla mafia, dell’antifascismo e per l’inclusione sociale. Nel suo locale ha sempre dato lavoro ai più fragili, usando prodotti che provenivano dalle terre confiscate alle organizzazioni criminali.
Cordoglio in città di tante persone e attivisti che lo hanno conosciuto, dell’associazione Libera e del sindaco Matteo Lepore.
Il ricordo di Detjon Begaj, consigliere comunale e attivista bolognese:
Il caso Djokovic diventa un braccio di ferro burocratico
(di Guglielmo Vespignani)
Il caso in corso tra il tennista numero uno al mondo Novak Djokovic e il governo australiano ha sempre più l’aspetto di un testa a testa in singolo ancora molto lontano dalla palla-set.
Nelle ultime ore è spuntato fuori un nuovo documento, l’esenzione vaccinale dovuta all’infezione da covid-19, che spiegherebbe, secondo i legali, il motivo per cui il campione serbo si sarebbe recato in Australia sicuro di giocare, pur non essendo vaccinato. Ma andiamo con ordine, in questa partita dove i dritti, i rovesci e le volé hanno assunto la forma dei botta e risposta diplomatici.
Il 4 gennaio Djokovic annuncia di aver ottenuto l’esenzione dal vaccino, e che quindi sarà presente agli Australian Open. Vola quindi verso l’Australia, ma alle 23.30 locali, quando atterra a Tullamarine, viene bloccato dalla polizia di frontiera e trattenuto in aeroporto per circa otto ore, scatenando anche l’ira del padre Sribjan e dei tifosi del tennista, che nelle ore successive scendono a protestare in piazza a Belgrado.
L’esenzione non viene riconosciuta, perciò Djokovic viene trasferito in un in una struttura per gli immigrati in quarantena a Melbourne, il Park Hotel, dove attende tuttora le decisioni delle autorità.
Ora arriva questo certificato di guarigione, per il quale, sempre secondo i suoi avvocati, Djokovic avrebbe già ricevuto nelle scorse settimane un documento del Department of Home Affairs australiano che attesterebbe come, in base alle risposte fornite, il tennista fosse in possesso dei requisiti per entrare nel Paese senza l’obbligo di quarantena.
Un disguido nato probabilmente da una mail di Tennis Australia, datata 7 dicembre 2021, che informava gli atleti guariti dal covid che avrebbero potuto partecipare al torneo anche se non vaccinati e richiedeva loro di inviare la documentazione. Ma in quella data il governo australiano aveva già comunicato agli organizzatori del torneo che la vaccinazione, per entrare in Australia, sarebbe stata comunque richiesta.
In questo storico qui-pro-quo, il tie break arriverà lunedì con la decisione del tribunale, che si dovrà pronunciare sul ricorso degli avvocati contro lo stop a Djokovic, e decidere se il campione serbo potrà giocare o meno gli Australian Open.