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Windrush generation, vittime dell’ingratitudine di stato nel Regno Unito

windrush generation ANSA

Quando Richard Amoah è atterrato a Londra era dicembre del 2018. Faceva molto
freddo, ma per lui è stato come tornare a respirare. Tornava a casa dopo 2 anni e
mezzo. 975 giorni in cui è stato costretto da un errore a vivere in un paese che non era
il suo.

Richard Amoha è nato 58 anni fa in Ghana. Sua madre, irlandese, e suo padre,
ghanese si erano conosciuti a Londra nei primi anni ‘60, si erano sposati ed erano
andati a vivere in Ghana, dove Richard è nato. Qualche anno dopo, però, i suoi
genitori si sono separati e la madre è tornata con Richard a vivere a Londra. Da quel
momento, non ha più visto suo padre e non ha più lasciato il Regno Unito. Finché,
nell’aprile del 2016 suo padre è morto, e Richard è tornato in Ghana per il funerale.
Dopo due settimane, era pronto per tornare a casa, a Londra, ma qualcosa con i suoi
documenti di viaggio è andato storto, e non è più riuscito a partire. Pensava sarebbe
stata questione di poco tempo, giusto quello necessario per risolvere un fastidioso
disguido burocratico. Ma le settimane sono diventate mesi, che sono diventati anni.
Richard Amoha è stato costretto a restare in un paese che non conosceva, con persone
che non aveva mai visto, dove si parlava una lingua diversa dalla sua. E’ rimasto
senza casa, senza lavoro e senza famiglia. In quel momento è iniziato il suo incubo,
durato 975 giorni. Un incubo che, però, non riguarda solo lui. Riguarda tutta quella
che è poi stata definita la Windrush generation. Migliaia e migliaia di persone,
residenti nel regno unito che, da un momento all’altro, per un errore nato da una
politica aggressiva contro l’immigrazione si sono ritrovati a essere considerati
immigrati illegali a casa loro. Alcuni sono stati deportati, altri arrestati, altri hanno
perso tutto.

Alla Windrush generation appartengono tutte le persone che tra il 1948 e il 1971 sono
arrivati nel Regno Unito da diversi paesi del commonwealth – in particolare dai paesi
caraibici. Il nome arriva da una ex nave militare della marina inglese, la “Empire
Windrush”, che sbarcò nel porto di Londra il 22 giugno 1948 con a bordo 482
migranti giamaicani venuti nel Regno Unito per lavorare. Fu il primo di molti sbarchi
del genere: nell’immediato Dopoguerra il governo inglese aveva invitato i cittadini
del Commonwealth ad emigrare nel Regno Unito per aiutare il paese nel lungo
processo di ricostruzione post-bellica. In cambio della loro manodopera, ai nuovi
arrivati fu garantito che sarebbero potuti rimanere per sempre.
Le nuove leggi sull’immigrazione introdotte nel 2012, quando Theresa May era
ministra degli interni, richiedevano a tutti di avere documenti per lavorare, per
affittare una casa e per accedere al sistema sanitario. Questa legge ha colpito anche
gli immigrati della windrush generation che per un disguido si sono trovati senza
documenti e senza la possibilità di provare la loro cittadinanza.

Nel 2018, anche grazie al lavoro giornalistico di testate come il Guardian, esplose lo
scandalo e Theresa May – che nel frattempo era diventata prima ministra – fu
costretta a scusarsi insieme la sua segretaria agli Interni, Amber Rudd.
Nel 2019, venne stabilito un piano di risarcimento per le migliaia di vittime dello
scandalo. Almeno 15mila persone erano risultate qualificate per riceverlo, ma ad oggi
il ministero dell’interno ha risarcito solo il 5% delle persone che ne avevano diritto.
23 persone sono morte prima di poter ricevere i soldi. Tra chi non ha ricevuto niente
c’è anche Richard Amoha, che quando è finalmente tornato a casa, si è trovato senza
più nulla. A Londra ha scoperto che sua madre si era ammalata di Alzheimer e a
stento l’ha riconosciuto, ha perso il suo lavoro e non è riuscito a trovarne un altro e i
suoi figli hanno faticato a capire la sua lunga assenza, e si sono man mano allontanati
da lui. Per un errore, Richard ha perso la sua vita. E per la lentezza e l’inefficacia del
sistema di risarcimento, non riesce a riaverla indietro. Migliaia di persone dopo aver
passato l’inferno, si trovano ora in un limbo, dove una commissione deve decidere:
quanto vale la vita di queste persone?

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

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