Mia cara Olympe

Violenza domestica: ‘Maid’ e il reddito di libertà

Funzionerà  il reddito di libertà, misura di sostegno economico  – fino a 400 euro al mese per un anno –  pensata per le donne vittima di violenza con o senza figli? Per avere una risposa, o meglio per capire come dovrebbe funzionare guardate ‘Maid’, la straordinaria serie americana firmata da Molly Smith Metzler, con Margaret Qualley e Andie McDowell, storia di ‘normale’ violenza domestica, di uomini che bevono e di rifugi per donne che da loro scappano, storia delle vite luccicanti e insieme oscure degli altri, quelli nelle cui case la giovane protagonista Alex pulisce e pulisce a otto dollari e 50 centesimi l’ora per pagare a se stessa e alla propria bambina la libertà di andare, lasciarsi alle spalle relazioni abusanti e difficili e inventarsi una vita nuova.

Ma quella è l’America, si dirà, l’America dei bianchi poveri, delle vite che cascano a pezzi e senza reti di protezione, delle sperequazioni intollerabili tra ville da riviste d’arredamento e catapecchie precarie o roulottes nei parcheggi, tra cappotti di cashmere e cibo spazzatura, tra lavori d’élite e cessi luridi – ne dovrà pulire 380 Alex per costruirsi la propria via d’uscita.  Eppure, tra le moltissime cose che ‘Maid’ suggerisce, interrogando in profondità e con i dovuti chiaroscuri la relazione di coppia e, altro importantissimo tema, quella tra Alex e  sua madre, alcune sono assai utili  a capire di cosa ha bisogno una donna che, pur di non vedere più pezzi di un bicchiere rotto dal partner tra i capelli della sua bambina, scappa da casa e poi, dinamica nota, ci ritorna per scapparne di nuovo. ‘Maid’, va detto, è ispirato ad una storia vera, al memoir di Stephanie Land, edito in Italia da Astoria ”Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre  e ciò  restituisce un peso specifico alla storia di Alex, proprio nel senso indicato da Annie Ernaux, per la quale la scrittura è ‘ricerca del reale, del reale sociale, collettivo, del reale delle donne’ e l’io è, appunto, un io collettivo. Storia di una per leggere quella di tante, insomma.

E dunque il reddito di libertà: c’è una sequenza in cui Alex – la bimba in braccio, una notte passata in macchina dopo i pugni contro il muro troppo vicini per non capire che è l’ora di prendere Maddy e fuggire via – si rivolge ai servizi sociali. Lei ha cambiato, al seguito della madre errante dopo aver lasciato il padre, sei licei diversi, non ha soldi, non ha lavoro, lui non l’ha picchiata e lei non vuole denunciare quel che ancora non le è chiaro come abuso psicologico, sulla sua famiglia non può contare. Il colloquio è surreale e se vi ricorda anche l’Inghilterra di certi film di Ken Loach non sbagliate: ‘Può darmi qualcosa di utile? Ha qualche abilità particolare? Lavora?’ chiede l’assistente sociale. ‘No’ .’Mi servono due buste paga per metterla in lista per una casa popolare e l’elenco è lungo’. ‘Non potete fare nient’altro per noi?’ ‘Sinceramente senza un lavoro, no’. ‘Ma come posso trovare lavoro se non ho i soldi per l’asilo? ‘Quando avrà un lavoro potremo fare domanda per i fondi per l’asilo pubblico’. ‘Serve un lavoro per dimostrare che mi serve un asilo per lavorare?  Ma che cazzata è questa?’ conclude amara Alex.

Ecco: chi scappa, chi si rivolge ad un centro antiviolenza ha bisogno di ascolto e di aiuto, non di schiantarsi contro il muro di gomma della burocrazia e del rinvio ad altro ufficio o a una carta che non è mai quella giusta. E se l’Italia non è l’America già a leggere qui come inoltrare la richiesta si vede la farraginosità dei tanti passaggi, già i centri della rete D.i.Re notano che, per ottenere la misura, è prevista una certificazione dei servizi sociali che ‘non è necessaria né per l’astensione dal lavoro a causa della violenza, né per gli assegni familiari, mentre invece è stata imposta per il reddito di libertà’. Per non parlare poi dello stanziamento  complessivo: la rete calcola che i soldi stanziati potrebbero aiutare nel loro percorso di autonomia ‘al massimo 625 donne in tutta Italia, quando sono oltre 20.000 ogni anno le donne accolte nei soli centri antiviolenza della rete D.i.Re, e circa 50.000 nel totale dei 302 centri antiviolenza contati dall’ISTAT nel 2018′. Certo la coperta  del welfare è corta, certo non tutte le donne vittime di violenza hanno problemi economici, ma molte per svariate ragioni sì e devono sapere su cosa, ed effettivamente, possono contare. Una misura strutturale chiede la rete D.i.Re, perché strutturale è la violenza. E l’efficace espediente narrativo di ‘Maid’ ritorna in mente: mentre Alex fa la spesa, mentre si sforza di far partire la vecchia macchina per andare a lavorare, in ogni momento della sua vita difficile una sorta di tassametro segnala, a lei e a noi che vediamo, il calare delle sue scarsissime finanze. È un indicatore concreto e, insieme, una metafora della possibilità di farcela a tirarsi fuori da relazioni tossiche. La nuova misura ha un  nome impegnativo, reddito di libertà, tocca onorarlo.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ospita un'ampia mostra personale dell'artista iraniana SHIRIN NESHAT vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia del '99, del Leone d’argento per la miglior regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Premium Imperiale a Tokyo mel 2017. I temi esplorati dall'artista sono quelli dell’identità', della memoria e dell’appartenenza. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”. La ricerca di Shirin Neshat però travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà. La mostra è visitabile dal 28 marzo all'8 giugno. Il servizio di Tiziana Ricci.

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