Abdel Fattah al-Burhan è il generale dell’esercito sudanese che ha guidato il golpe dei giorni scorsi e che ora è a capo della nuova giunta militare. Fino al 2019, era poco conosciuto, non era mai apparso in pubblico e aveva sempre mantenuto un basso profilo. Nel 2019, è uscito allo scoperto e ha preso parte al golpe contro il dittatore Omar al-Bashir, sulla scia delle proteste popolari scoppiate contro il suo regime. Al tempo era solo uno dei generali, ma il giorno dopo il colpo di stato è stato scelto per guidare il governo transitorio. Da leader de facto dello Stato i primi paesi che ha visitato sono stati l’Egitto, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita. Tre paesi che sono rimasti amici del Sudan e che in questi anni hanno avuto un ruolo importante, fornendo aiuti finanziari ed economici. Al-Burhan è passato in poco tempo da essere un quasi sconosciuto generale dell’esercito, ad essere protagonista di due colpi di stato in due anni e a guidare il Paese. Il golpe del 2019 doveva servire a portare il Sudan verso una democratizzazione totale, ma in due anni, di passi avanti, ne sono stati fatti ben pochi.
Il primo ministro Hamdok – unico civile nel governo tra i tanti militari – non è riuscito a cambiare il paese come era stato promesso e il popolo ha ricominciato a protestare. I militari – guidati da al-Burhan – hanno capito che questo era il momento giusto per riprendersi il potere e hanno colto l’occasione, ponendo fine ad un’illusione di democrazia durata due anni. La storia del Sudan e di al-Burhan non suona nuova ed è l’ennesima dimostrazione che i militari, alla fine, tornano sempre per riprendersi il potere. Il modo più facile per farlo è non mollarlo mai del tutto, ma dare l’impressione di essere disposti a farsi da parte, di accompagnare il paese verso un governo eletto, per poi sfruttare il malcontento popolare per annullare tutto. E’ una storia che abbiamo già visto proprio in Egitto, nel 2013. Anche lì, le proteste popolari del 2011 misero fine al governo di Mubarak e alle elezioni del 2012 trionfò Mohamed Morsi. Un anno dopo, però, le delusioni per la presidenza di Morsi diedero vita ad una nuova ondata di malcontento popolare. In questo contesto, l’allora ministro della Difesa e comandante delle forze armate Abd al-Fattah al-Sīsī guidò un colpo di Stato contro Morsi che lo portò alla presidenza. Da allora, è a capo di una falsa democrazia che funge solamente da facciata per un governo autoritario e militare.
Da questa settimana, anche in Sudan, i militari si sono liberati della piccola rappresentanza civile e sono ormai soli al comando. La controrivoluzione ha fermato uno degli ultimi tentativi di democratizzazione ancora in corso nel mondo arabo, dopo che quest’estate – con la presa di potere del presidente Kais Saied – si è conclusa anche la corsa della Tunisia. I sudanesi hanno capito l’inganno: sono tornati in piazza e stanno dalla parte del premier Hamdok, ma l’esercito ha le armi e già si contano i primi morti.
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