Prosegue il viaggio di Moby (10.40/12) attraverso gli itinerari migranti. Abbiamo deciso di raccontarvi storie di viaggio un po’ particolari, viaggiatori che arrivano da Siria, Iraq e Afghanistan in cerca di un po’ di pace e di una vita migliore. Alessandra Lanza, in compagnia di Open Borders, ha incontrato alcune di queste persone e ne ha raccolto le testimonianze. Il terzo racconto che vi proponiamo, e che trovate anche su Witness Journal, riguarda Amani, prima dentista in Siria, oggi suo malgrado profuga.
L’intervista e sotto la traduzione di Alessandra Lanza.
E’ così brutto, questo campo è bruttissimo. Quando piove è terribile e molto freddo. Venite dentro alla tenda se volete bere un caffè.
Vengo dalla Siria, da Aleppo. In Sira facevo la dentista, il tecnico dentista. Ho già 6 anni di esperienza di lavoro. Era un bel lavoro. Sono arrivata qui in Grecia approdando a Mytilini, Lesbo il 23 febbraio con la mia famiglia di sette persone. Abbiamo preso una grande barca eravamo in 40. Abbiamo avuto molta fortuna il mare era calmo e siamo partiti all’alba. Ci sono volute 2 ore e mezzo. Quando siamo arrivati a Mytilini ci hanno trattenuto una notte nella stazione della polizia, c’era anche la polizia turca. Ci hanno costretti in una piccola stanza insieme ad altre 300 persone. Donne, uomini, bambini, anziani, tutti insieme.Ci hanno dato un piccolo pezzo di pane e niente altro. Tutti se ne volevano andare, non c’era altro cibo, stanze. Niente. Poi ci hanno dato i documenti e lasciato andare. Siamo stati quattro giorni a Mytilini e quindi abbiamo preso la nave a siamo arrivati ad Atene. Siamo andati a Idomeni, ma li era terribile, faceva freddo, non c’era cibo e la frontiera era chiusa. Non si poteva stare, così siamo venuti al Campo di Cherso su un pulman della Polizia. Io sono in viaggio da 3 anni. Ho infatti lasciato casa mia ad Aleppo 3 anni fa. Non so più niente di casa mia.
Ho continuato a cambiare casa e posto dove stare fino a che siamo arrivati in Turchia a Izmir dove siamo stati una settimana. Poi da li siamo andati a Kavala e quindi Mytilini e ora il Campo di Cherso. E’ già un mese che siamo qui, è un grande problema. Nessuno sa nulla di quello che ci succederà. Tutti se ne vogliono andare. Al campo ci danno cibo, tre volte al giorno: pasta, riso. Certe volte carne altre volte pollo. Ma il cibo non è buono, non c’è amore in questo cibo. Ma forse a noi non importa, a noi importa partire. Mio fratello e mia madre sono già in Germania, mia madre da 5 mesi e mio fratello da un anno e mezzo.
A Francoforte, mio fratello va a scuola e sta imparando la lingua. Noi li sentiamo al telefono grazie ad internet. Ci stanno aspettando. Quando la guerra finirà io vorrei tornare in Siria. A casa. Ora voglio solo andare in Germania, ma se devo aspettare tanto in Grecia, voglio cambiare campo. Ne voglio cercare uno migliore. Qui c’è il grandissimo problema dei bagni, non ce ne sono. Ce ne sono solo 20 per quasi 4.000 persone. Non possiamo lavarci e la doccia ce la facciamo nei bagni usando acqua scaldata sul fuoco. E l’acqua che usiamo dobbiamo comperarla, usiamo quella delle bottiglie. Spesso ci compriamo il cibo e lo cuciniamo sul fuoco fuori dalla tenda. Infatti c’è un piccolo supermercato a 25 minuti a piedi da qui. Ci andiamo 3, 4 volte alla settimana. E spesso ci fermiamo nei bar a ricaricare i telefoni. Qui spesso salta la luce, per una settimana non c’è stata. A Cherso convivono siriani e iracheni, non è facile. Amani significa speranza.
foto | Fabio Viola – Open Border Sguardi Migranti