In questa prima settimana di programmazione di Moby (dalle 10.40 alle 12), abbiamo deciso di raccontarvi storie di viaggio un po’ particolari, gli itinerari dei migranti che arrivano da Siria, Iraq e Afghanistan. Alessandra Lanza, in compagnia di Open Borders, ha incontrato alcuni di queste persone in fuga da eventi drammatici e ne ha raccolto i racconti. Il primo che vi proponiamo, e che trovate anche su Witness Journal, è il racconto da Ktima Irakli.
L’intervista a Fatima e sotto la traduzione di Alessandra Lanza.
Sono arrivata in Grecia dalla Turchia con mio marito e mia figlia in barca, è stato difficile arrivare da sola ma ce la ho fatta! Quindi sono andata al confine con la Macedonia e i confini erano chiusi. Il mio cuore si è spezzato e ho pensato, dio mio è come in Siria. Non mi posso muovere, non posso andare da nessuna parte.
Qual è la differenza? Ho lasciato i confini della Siria per raggiungere mio figlio che mi sta aspettando, glielo avevo promesso. Per uscire dalla Siria e raggiungere la Turchia abbiamo camminato per tante ore strisciando come serpenti per non farci vedere, è stato difficile ma sono diventata forte in questo viaggio. Pensavo di avere delle possibilità di farcela, di riuscire a raggiungere mio figlio che è partito qualche mese fa da solo a 13 anni. Ha fatto lo stesso viaggio che ho fatto io, un viaggio lungo. In molti mi hanno chiesto perché lo hai fatto partire da solo? Se lo tenevo in Siria magari veniva ucciso. Ora è in Germania e va a scuola. In Siria mio figlio non poteva andare a scuola perché ogni giorno c’erano bombe, spari, moltissima gente pericolosa che si muoveva tra le case, ogni cosa è ferma in Siria eccetto la guerra. Quella non si ferma mai. La Siria era un bellissimo paese ma ora non c’è niente tutto è bombardato, non c’è cibo, nulla. Mio figlio è andato con suo cugino di 13 anni anche lui. Ora è a Francoforte con suo zio, in una bella casa. Sono partiti a gennaio.
Io sono diventata forte, finirò il mio viaggio in Germania! Ho bisogno di gente bella come voi per darmi forza e coraggio. Qualche volta ho bisogno di scherzare. Mio marito ha il cuore rotto per quello che succede e per l’assenza di nostro figlio. Sono stata io a spingerlo a lasciarlo andare. Ogni giorno però soffre per il fatto di averlo fatto partire. Io gli dicevo: fallo andare, avrà possibilità in Europa. I suoi coetanei giravano armati e magari un giorno lo avrebbero ucciso. Mio marito insegnava all’università. E ora soffre moltissimo.
Per arrivare in Grecia ci abbiamo messo 3 ore con una barca. Maglà era il nome del turco che ci ha dato la barca. I trafficanti hanno voluto molti soldi 600 euro a persona. Eravamo in 38 persone nella barca che era molto piccola. Siamo partiti da Izmir (a ovest della Turchia, ndr). I bambini piangevano era notte. Sembrava di essere in un film, in un incubo: è stato molto difficile. Prima di arrivare alla spiaggia, la barca si è fermata e la polizia greca è arrivata a salvarci. Ci hanno dato coperte, vestiti, cibo ci hanno trattato molto bene e ci hanno portato in un grande campo. Quindi abbiamo proseguito fino Atene in nave e siamo andati a Idomeni in quel grande problema che è il confine con la macedonia. E abbiamo avuto la cattiva notizia della chiusura del confine. Questa è stata la cosa più difficile. Sono sopravvissuta nel superare i confini con la Siria, la barca… Ma stare al confine ad aspettare è peggio. Non mi piace aspettare, attendere il cibo, non mi piace quel tipo di vita. In Siria avevo una vita molto attiva, ma sono sicura che domani sarà un giorno migliore di oggi.
foto | Cosimo Calabrese – Open Border Sguardi Migranti