Un paese con quasi 160 milioni di abitanti con una crescita del pil, nel 2015, del 6,5%, un incremento pro capite del 5% e il 41,4% della ricchezza detenuta dal 10% più ricco della popolazione. E’ il Bangladesh, un Paese dalle notevoli potenzialità e opportunità per gli investitori stranieri cui però fanno da contrappeso forti difficoltà e rischi: la grave inaffidabilità della macchina burocratica, i crescenti problemi di sicurezza e ordine pubblico e poi la corruzione che permea tutto e crea povertà e totale assenza di prospettive per i giovani.
Un contesto che, assieme ad alcune caratteristiche geografiche e politiche, sembra essere fatto apposta per rendere il Bangladesh uno dei principali obiettivi nella strategia del jihadismo internazionale. Questo paese sembrerebbe essere il naturale sbocco per lo Stato Islamico, che ha perso una buona parte del suo territorio in Iraq e Siria.
Proprio per questo motivo molti si aspettavano un attacco in Bangladesh. C’erano tutti gli elementi, compreso il fatto che il periodo più recente è stato punteggiato da uccisioni mirate rivendicate in gran parte da Daesh. E dei venti attacchi terroristici tre sono stati rivendicati o attribuiti ad Al Qaeda, formazione rivale dello Stato Islamico di Abu Bakr Al Baghdadi. Il Bangladesh rischia di diventare anche il teatro della contrapposizione dei principali gruppi del terrorismo internazionale che, giocoforza, hanno dovuto avvicinare le loro strategie, non solo quelle geopolitiche (senza controllare territori Daesh deve tornare al terrorismo puro, cioè all’attacco “al cuore del nemico” che è la strategia originaria di Al Qaeda).
Una anticipazione di questo è il conflitto aperto in Siria tra Al Nusra e Daesh. Conflitto che in Bangladesh potrebbe diventare ancora più profondo e sanguinoso.