Ha detto il segretario del Pd Enrico Letta che l’insegnamento delle elezioni tedesche è chiaro, «dalla crisi si esce a sinistra».
È un auspicio condivisibile, naturalmente, e in effetti nel programma con cui l’Spd ha vinto le elezioni ci sono delle cose di sinistra, pur essendo Olaf Scholz un moderato.
Cose semplici: come il salario minimo a 12 euro, un’aliquota fiscale più alta di tre punti per i redditi dei benestanti, una patrimoniale per i super ricchi, nessun aumento dell’età pensionabile (che in Germania è più bassa di quella prevista dalla legge Fornero in Italia), oltre a 50 miliardi di investimenti pubblici su clima e mobilità verde, ignorando il dogma del pareggio di bilancio.
Non è la presa del Palazzo d’Inverno, com’è evidente: Scholz è appunto un moderato. Sono solo riforme socialdemocratiche, che però vanno nella direzione opposta rispetto a quanto accaduto in Europa dagli anni ’80 in poi, con l’allargamento della forbice sociale.
Non si sa se Scholz diventerà cancelliere e, se lo diventasse, non si sa se farà le cose che sono nel suo programma – dipende anche dalle possibili alleanze.
Ma si sa che queste semplici proposte di maggior giustizia sociale hanno caratterizzato la sua campagna elettorale, hanno dato un’identità forte al suo partito e hanno convinto la maggioranza relativa dei tedeschi a ridare una chance all’Spd dopo gli anni liberisti di Gerhard Schroeder.
Ecco, «dalla crisi si esce a sinistra», dice Letta. Ma forse questo può avvenire solo se e quando il centrosinistra ha il coraggio di fare proposte chiare e coraggiose, dal salario minimo alla patrimoniale. Cosa che in Italia non sembra ancora pervenuta.