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L’Europa chiude le porte in faccia ai rifugiati afghani, l’allerta per le manifestazioni No Green Pass e le altre notizie della giornata

Kabul ANSA

Il racconto della giornata di martedì 31 agosto 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. L’Europa chiude le porte in faccia ai rifugiati afghani. Ne verranno accolti, pochi e selezionati, delle categorie a rischio: donne e attivisti. Da questa sera a mezzanotte scatta l’obbligo di Green Pass per salire su i treni a lunga percorrenza, gli aerei, i traghetti e per il personale della scuola, e i No Green Pass sono pronti a bloccare le stazioni più grandi d’Italia. La Gkn di Campi Bisenzio ha confermato oggi la decisione di chiudere lo stabilimento e licenziare i lavoratori. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Partito dall’Afghanistan l’ultimo volo americano

(di Michele Migone)

È partito oggi dall’Afghanistan anche l’ultimo volo americano; il Pentagono ha confermato il ritiro delle sue truppe da Kabul, dopo 20 anni di presenza militare.
Resta aperto a livello internazionale il dibattito sul riconoscimento del governo talebano. 


(di Sara Milanese)


I talebani sono scesi in piazza per festeggiare stamattina, con bandiere e colpi di sparo, la fine della presenza militare straniera, durava da 20 anni. Hanno anche ribadito che la loro intenzione è di mantenere buone relazioni diplomatiche con tutti. Nelle stesse ore rientrava nel paese Amin-ul-Haq, ex capo della sicurezza di Osama bin Laden, ci sono video che testimoniano il suo arrivo a Tora Bora, accolto da cittadini in festa.
È atteso intanto in questi minuti un nuovo intervento di Joe Biden, per ribadire la volontà di garantire le partenze dei civili che vogliono lasciare l’Afghanistan nelle prossime settimane e mesi.
L’Europa intanto ha deciso la linea da tenere nei confronti dei profughi afghani, ed è una linea di chiusura, nonostante la promessa di un forum a settembre sui reinsediamenti, e i proclami, anche della ministra italiana Lamorgese, di apertura all’accoglienza.

L’Europa chiude le porte in faccia ai rifugiati afghani

(di Michele Migone)

L’Europa chiude le porte in faccia ai rifugiati afghani. Ne verranno accolti, pochi e selezionati, delle categorie a rischio: donne e attivisti. Quanti? Non si sa. Quando? Neppure. Una sorta di specchietto per le allodole. La sostanza è che la maggior parte di coloro che vorrebbero venire, troveranno un muro. La Francia oggi ha evocato il Modello Turco. Roma si barcamena. I rappresentanti di Danimarca, Austria e Repubblica Ceka sono stati più diretti: non li vogliamo. Punto. Molto chiaro il ministro degli interni tedesco Seerhofer: nessuna quota di rifugiati afghani. Il 2015 è veramente lontano. Allora, Angela Merkel aprì le porte della Germania, unico paese europeo, a un milione di rifugiati siriani. Fu l’inizio del suo declino politico. A pochi giorni dalle elezioni politiche che vedranno il suo addio alla Cancelleria, il suo partito, la CDU, indietro nei sondaggi, non vuole sentire parlare di accoglienza degli afghani. L’Europa chiude le porte per calcolo politico. Lo fa all’insegna di una doppia ipocrisia. La maggior parte dei governi europei ha mandato un contingente in Afghanistan in questi 20 anni. La Germania e l’Italia hanno avuto addirittura il compito di gestire vaste zone di territorio della missione Isaf. Nonostante ciò, nessun paese europeo si è assunto la responsabilità del fallimento dell’avventura afghana e delle conseguenze del disastroso ritiro. Alla riunione del G7, Joe Biden è stato criticato per le sue decisioni unilaterali, ma nessuno ha ricordato che i diplomatici di alcuni paesi europei avevano lasciato il paese ben prima di quelli americani. Attraverso la Nato, o per l’ adesione dei singoli paesi, dal 2001, l’Europa ha concorso a determinare il destino dell’Afghanistan. Ora, dopo il fallimento, per egoismo, calcolo e convenienza elettorale, l’Europa decide di abbandonare gli afghani al loro destino. Si scrive Real Politik, si legge puro cinismo.

Massima allerta del Viminale sulle manifestazioni dei No Green Pass

Da questa sera a mezzanotte scatta l’obbligo di Green Pass per salire su i treni a lunga percorrenza, gli aerei, i traghetti e per il personale della scuola. Contro l’obbligo di certificazione verde i “no pass” hanno lanciato, via social, una mobilitazione nazionale per bloccare il traffico ferroviario, con appuntamento domani alle 14,30 davanti alle stazioni.

(di Claudia Zanella)

Massima allerta da parte del Viminale sulle proteste dei No Green Pass di domani. “Se qualcuno domani arrecherà disagi alla circolazione dei treni bloccando le stazioni, andrà incontro ad una denuncia per interruzione di pubblico servizio. Un conto è manifestare pacificamente, altra cosa è creare disagi alle altre persone, commettendo di fatto un reato. Dovremo essere intransigenti”. Lo ha scritto in un tweet il sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia. 
I no pass puntano a bloccare i treni in una cinquantina di stazioni in tutta Italia. Tra queste anche snodi importanti come Tiburtina a Roma, Garibaldi a Milano, Porta Nuova a Torino e Piazza Garibaldi a Napoli. Si sono dati appuntamento domani alle 14.30 per poi entrare nelle stazioni alle 15 e rimanere fino a sera. 
A Milano la questura non fa stime, difficile capire quanti manifestanti aspettarsi, ma fa sapere che qualsiasi sarà il numero i reparti di polizia e carabinieri in campo saranno sufficienti. Ancora non è chiaro come si muoveranno. Sicuramente ci sarà vigilanza dentro e fuori dalle stazioni e in metropolitana. L’obiettivo è preservare il pubblico servizio e impedire il blocco dei binari. 
Intanto nelle chat – come “No green pass” e “Basta dittatura” – si leggono indicazioni anche sulle prossime proteste. Un calendario fitto che parte con il blocco dei treni e arriva a una manifestazione davanti al parlamento, non prima di aver fatto presidi davanti a sedi delle Regioni e dei media.
 E poi circolano sempre più nomi di giornalisti, politici, medici e anche cantanti con email e numeri di telefono con il diktat “inondateli”. Addirittura scrivono indirizzi di casa, con foto dei portoni. La targa accanto a un citofono mostra dove si trova lo studio di Aberto Cirio, presidente della Regione Piemonte. Il livello di violenza, anche verbale, si alza ed è caccia ai nomi di quelli che loro definiscono “criminali”.

La Lega, i suoi commercialisti e la “nebbia lombarda”

(di Claudio Jampaglia)

Hanno usato le loro cariche per arricchirsi i due commercialisti per la Lega in Parlamento, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, e lo hanno fatto in maniera preordinata e mentendo spudoratamente alle istituzioni attraverso la vendita gonfiata di un capannone a Cormano alla Lombardia Film Commission, di cui per altro Di Rubba era presidente in quota Lega. Le motivazioni della sentenza di condanna rispettivamente a 5 e 4 anni e 4 mesi per i due professionisti però vanno oltre il fatto personale perché descrivono un meccanismo che potremmo chiamare, dalle parole del giudice Guido Salvini, “nebbia lombarda”. Di cosa si tratta? Di nomine politiche e incarichi grazie alle quali uomini d’affari, commercialisti e professionisti, possono creare occasioni di guadagno per sé, retrocedendo poi parte degli emolumenti e guadagni derivanti dalle loro cariche a chi li ha nominati. Magari non direttamente ma a quella galassia di associazioni culturali che fanno capo a un esponente politico e che ormai costellano le indagini su distrazioni di fondi pubblici, abusi d’ufficio, turbative d’asta e via andare. E’ una nuova forma di irresponsabilità politica: io ti nomino, tu mi dai parte del tuo compenso e io chiudo un occhio. Anzi nel caso dei commercialisti anche due, visto la quantità di incarichi che avevano accumulato: da contabili dei gruppi parlamentari, ad amministratori di diverse aziende che forniscono servizi al partito, a consulenti finanziari e fiscali del partito e di associazioni legate ad esso. Per cui il silenzio della Lega ha solo due spiegazioni: o si vergognano di chi hanno messo in luoghi nevralgici anche per le finanze della loro organizzazione oppure non hanno nulla da eccepire in merito.

I dipendenti della Gkn di Campi Bisenzio preparano la lotta

Oggi la Gkn di Campi Bisenzio ha confermato la decisione di chiudere lo stabilimento e licenziare i lavoratori. La proposta dell’azienda è quella di fare ricorso alla cassa integrazione per cessazione aziendale per qualche mese, per poi chiudere definitivamente.
Una soluzione che i sindacati non accettano, e per cui chiedono l’intervento delle istituzioni. Si è schierato duramente contro l’uso della cassa integrazione anche Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana: “è inaccettabile la cessazione dell’attività industriale del sito di Campi Bisenzio”. I sindacati intanto preparano la lotta. Sentiamo Dario Salvetti, delegato della Fiom CGIL:


 

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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