Un disegno di legge anti-delocalizzazione? Lo vorrebbero i 5 Stelle con la sottosegretaria allo Sviluppo Alessandra Todde che ha sul tavolo tutte le crisi industriali italiane presentate al ministero guidato da Giancarlo Giorgetti (Lega), completamente contrario. Come sempre: la Lega “difende” i territori dallo “straniero” nero e povero, magari musulmano, ma con le multinazionali che licenziano a casa loro zitti e mosca.
La prima bozza di disegno di legge riprenderebbe la legge francese Florange (che ha avuto scarsissimi effetti oltralpe) e prevederebbe un preavviso di sei mesi da parte delle aziende che vogliono delocalizzare, un piano di “mitigazione” delle ricadute occupazionali e una disponibilità a trattare con un acquirente e poi una multa del 2% del fatturato per chi se ne va nei tre anni successivi ad aver preso fondi pubblici (il caso Whirlpool). Quest’ultimo punto, in particolare, ha raccolto la vibrante protesta di Confindustria a cui è seguita un coro di “ci mancherebbe” di tutti i partiti al governo. E una seconda bozza (per pochi, visto che i sindacati non partecipano a questo dibattito).
Ci spiega meglio di qualsiasi collega giornalista cosa sta succedendo chi ha proposto per primo una legge contro la delocalizzazione a gratis (anzi a costo della comunità): il Collettivo di fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio, in lotta da mesi per scongiurare proprio il licenziamento e la delocalizzazione di un sito produttivo sano e senza crisi, di 500 lavoratori più indotto. Sono quelli che non ci stanno e giustamente chiedono di “insorgere” a tutti noi, contro una politica che non sa pesare più diritti e cittadini. Ecco la lucida spiegazione di un operaio della Gkn e del Collettivo di fabbrica, Dario Salvetti:
Dal primo minuto abbiamo messo in campo tutti gli strumenti a nostra disposizione, compresi i nostri corpi, per impedire la delocalizzazione. Mentre noi facciamo tutto il possibile il governo, che in questo momento è provvisto anche di fondi, afferma di non aver strumenti per fermarla.
Noi invece ci siamo detti: “Se non ci sono strumenti legislativi per proteggere Gkn e molti altri posti di lavoro bisogna crearli”. Da li è nato il dibattito. La legge anti-delocalizzazione è stata proposta inizialmente dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Orlando e dalla viceministra dello Sviluppo Todde. Nella sua prima versione la bozza era già insufficiente. Successivamente ha cominciato a circolare sui giornali una seconda proposta ancora più debole e dopo l’intervento del presidente di Confindustria Bonomi, che ha definito la legge punitiva per le aziende, una proposta che era già quasi nulla rischia di diventare inutile.
Nella sua ultima stesura la legge è poco più di una gentile richiesta alle aziende di fornire un piccolo preavviso prima di smantellare uno stabilimento produttivo e togliere il pane dalle nostre tavole.
Il fatto che Bonomi tuoni significa che le aziende non sono disposte ad avere nessun tipo di vincolo, nemmeno quello di un leggero preavviso.
Questo è il livello dello scontro in atto. È feroce. Una mobilitazione di 500 famiglie e di un intero territorio vale meno di qualche minuto di intervento del presidente di Confindustria. Questi sono i rapporti di forza in questo paese. È necessario insorgere, perché a quanto pare, le nostre vite valgono meno di qualche esternazione di Bonomi.
Oggi il presidente di Confindustria esercita pressioni sulla legge anti-delocalizzazioni, ma domani potrebbe farlo su qualsiasi altra questione: pensioni, precariato, decreto dignità eccetera.
Anche il sindacato ha letto la bozza del disegno di legge e le reazioni della politica sui giornali, perché ormai è chiaro, come successo dal Pnrr all’obbligo vaccinale nelle mense aziendali, che questo governo comunica ai sindacati le decisioni già prese, avendo invece nelle associazioni delle imprese un suggeritore e un interlocutore privilegiato.
Eppure sul territorio ci sono migliaia di lavoratori che sono sotto minaccia di licenziamento, i casi più noti per restare solo nel metalmeccanico e per altro nel settore auto-motive sono proprio la Gkn di Firenze, la Gianetti ruote in Brianza e la Timken nel bresciano. E per altro è abbastanza chiaro cosa si dovrebbe fare per evitare che aziende (essenzialmente fondi) facciano pagare la loro scelta di delocalizzazione alla collettività tutta, si perché ora siamo noi – lo Stato – che paghiamo le scelte di profittabilità dei gruppi internazionali e non solo con la perdita di salari e consumi, ma con le necessarie politiche attive di formazione, ricollocazione, sussidi… Si dovrebbe fermarli prima. Si dovrebbe farli pagare.
Ecco la valutazione di Francesca Re David, segretaria generale della Fiom:
Sono aziende di proprietà di grandi fondi con un mercato certo e sicuro che lavorano nel campo della componentistica auto. Stiamo assistendo a operazioni di tipo finanziario speculativo che portano a una delocalizzazione della produzione non determinata da crisi di mercato, ma dall’assenza ventennale di politiche industriali. Le aziende in questo Paese sono libere di andare e venire e di usufruire delle risorse pubbliche. Il caso della Whirlpool è il più eclatante.
Le aziende che decidono di chiudere e delocalizzare non lo fanno ne in un mese ne in sei. Quello che abbiamo trovato particolarmente odioso nel caso Whirlpool è che è stato nascosta la volontà di chiudere il sito di Napoli. La scelta è stata annunciata solo 2 o 3 mesi dopo aver preso risorse e aver fatto un accordo con il Governo e i sindacati.
È necessario che le aziende che decidono di chiudere aprano il confronto con un anticipo molto più consistente, almeno di un anno.
C’è bisogno di tempo per trovare soluzioni che salvaguardino i siti industriali e produttivi e i lavoratori.
L’Italia è un sistema produttivo importante. Siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa. Abbiamo un’azienda dell’elettrodomestico radicatissima sul territorio che nasce da imprese italiane, ma che ormai è stata sostanzialmente acquisita da multinazionali e un indotto dell’Automotive di eccellenza che rifornisce tutto il resto del mondo.
Se lasciamo alle multinazionali il potere di spopolare il territorio italiano da questa ricchezza per motivi di tipo finanziario speculativo senza intervenire, vuol dire che continuiamo a non avere un idea di politiche industriali.
Se una multinazionale decide di venire in Italia, acquisire un azienda e poi andarsene non deve avere la possibilità di portare la produzione all’estero. Deve essere messa nella condizione di trovare una soluzione sul territorio e lasciare il tempo per una trattativa sindacale. Le imprese che decidono trasferiscono la produzione devono pagare e restituire le risorse che hanno preso da questo Paese. Siamo molto spaventati dall’idea che le multinazionali possano prendere soldi dal Pnrr, stare un po’ e poi portarli da un altra parte. È chiaro che ci vuole un vincolo da questo punto di vista. Ci vorrebbe una legislazione europea, perché le aziende che delocalizzano la produzione, soprattutto quelle nel settore dell’Automotive, lo fanno spostandosi all’interno dell’Europa.
Il quadro è abbastanza chiaro, purtroppo. Non pesano più i lavoratori, non pesa il sindacato. Bisognerebbe ricominciare da qua. E la determinazione del Collettivo della Gkn forse è una scintilla, una occasione per tornare a pesare tutti insieme. Non a caso loro dicono che se nulla succederà entro il 20 settembre (data del temuto invio delle lettere formali di licenziamento) ci chiameranno in piazza a protestare, davvero.
L’audio integrale delle interviste di Claudio Jampaglia a Dario Salvetti e Francesca Re David è riascoltabile nella puntata di Prisma di martedì 24 agosto 2021
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