Da sempre, dal mio sempre, le estati calabresi hanno visto accendersi di roghi le colline e la montagna – l’Aspromonte in specie e di fronte, aldilà del mare doppio, i siculi monti Peloritani.
Vista consueta nelle notti d’agosto: guarda c’è un incendio, ancora e come sempre, si diceva con il rammarico di chi sapeva che non è mai un accidente. Oggi però non è più ‘come sempre’, ammesso e non concesso che ci si potesse cullare in quell’avverbio. Ora l’Aspromonte non cessa di bruciare nel suo cuore più antico, nella sua radice grecanica, nelle altezze vertiginose delle sue faggete patrimonio dell’Unesco: se volevamo dare sostanza, concretissima e simbolica, all’allarme degli scienziati del clima, non avrebbe potuto essere, l’avvertimento, più violento e ultimativo. E vale la pena leggere per intero cosa scrivono le guide del parco nazionale dell’Aspromonte: la montagna brucia per mano umana e dietro il crimine del fuoco c’è la lunga catena delle omissioni, delle responsabilità e dell’assenza di cura. E no, scrivono le guide, “non stiamo parlando di qualche boschetto, buono per farci una passeggiatina e pubblicare un paio di foto su instagram, ma sono i boschi della zona a tutela integrale, dall’altissimo valore naturalistico per noi, per la Calabria, l’Italia e per tutto il mondo. È come se bruciassero i Bronzi di Riace e noi li potessimo vedere mentre il metallo si scioglie e cola sulle basi di marmo… anzi peggio, perché questo fuoco causerà gravi danni alle nostre vite nel prossimo e medio futuro” .
Lontano da riflettori che più di tanto non si accendono – la Calabria resta remota, inchiodata allo stereotipo di una univoca narrazione di terra perduta, leggere per capirne di più ‘A sud del sud’ di Giuseppe Smorto – la guerra dell’Aspromonte per la propria e nostra sopravvivenza conta a oggi anche quattro vittime umane, le altre sono ad oggi incalcolabili. Come verranno archiviate le morti umane degli incendi dell’estate 2021? Si ricorderà che sono morti sul lavoro – il lavoro antico dei campi e degli oliveti e dell’allevamento, il lavoro duro della aree interne che ostinatamente qualcuno continua a fare – e allo stesso tempo morti ammazzati dal crimine del fuoco e vittime della crisi climatica? Si ricorderà la storia così calabrese del pensionato di Grotteria, Mario Zavaglia si chiamava, carbonizzato mentre in casolare cercava di salvare i suoi pochi animali dal fuoco? Le cronache locali danno particolari: si racconta che da tanto tempo era emigrato al nord ma sempre tornava al paese, qualcun altro dice che a trovarlo è stato il figlio, appena rientrato, lui, da Milano per le ferie. Emigrazione, il destino di tanti in questa ed altre terre che si spopolano e riaccolgono d’estate chi torna in un illusorio ricongiungimento con affetti, radici, consuetudini, modi di vivere antichi.
Difficile adesso rintracciare speranza. La terra non solo arde, ma patisce incurie, inciviltà, eterni problemi e incapacità a risolverli: mentre l’Aspromonte brucia, protestano i cittadini per l’acqua che manca nelle case ma che sgorga dalle buche per strada, articoli di cronaca salutano come evento la rimozione di una delle troppe microdiscariche di rifiuti, i falò della notte di san Lorenzo hanno lasciato in eredità alla spiaggia, che solo un anno fa ha visto la nascita emozionante di una quarantina di tartarughe, spazzatura prontamente documentata sui social. Sotto un termometro implacabile la terra sembra ancora più esausta, più al capolinea che in altri luoghi e la responsabilità umana ancora più pesante e colpevole. Resistono per fortuna alcune lucide voci – qui quella dello scrittore Gioacchino Criaco che a metà agosto avrebbe dovuto radunare nei luoghi di Alvaro e di Strati persone e pensieri per la rassegna ‘Gente d’Aspromonte’ – che non si stancano di sollecitare progetti e cura per la grande montagna che lotta.