In un blog che dovrebbe (e i condizionali sono una gran bella cosa) parlare di tecnologia e Internet, parlare di Genova 2001 è chiaramente un off topic.
Me lo concedo, perché come tante e tanti che lavorano in questa radio, per me Genova 2001 è stata una tappa importante a livello personale, politico, professionale, emotivo.
Ed è per questo che faccio un po’ di fatica a ritrovarmi nella narrazione che passa in questi giorni. Certo, Genova sono state le botte in piazza, il massacro della Diaz, la sospensione della Costituzione ai danni di centinaia di migliaia di persone.
Ma non è stato solo quello. È stato un momento in cui moltissimi hanno “scoperto” una politica nuova e diversa. Almeno, per me lo è stato.
Non è che in quella primavera del 2001 avessi deciso improvvisamente di votarmi alla politica. Certo, ero piuttosto sensibile e avevo una posizione chiara su certe cose. Ma non è che abbia deciso. È successo più o meno per caso.
Gli incroci con il movimento altermondialista (da qui in poi indicato semplicemente come “il movimento”) li avevo avuti su Internet. In quegli anni il web era ancora popolato da poche persone. Ci sentivamo un po’ dei carbonari, un po’ parte di un’élite. Una nuova generazione di internazionalisti attaccati ai nostri modem 56K che si stupivano di poter accedere con tanta facilità a idee, contenuti, rivendicazioni che rimbalzavano da paesi lontanissimi, improvvisamente vicini.
Poi è arrivata l’estate. E Genova. La dimensione “fisica” di Genova ha dato concretezza a quel percorso. Lo ha reso improvvisamente possibile come quel “altro mondo” per cui siamo scesi in piazza.
A differenza di quanto mi capita di leggere in questi giorni nelle analisi “a venti anni da Genova”, la repressione che il movimento ha subito (che tutte e tutti noi abbiamo subito) non lo ha bloccato, disgregato, dissolto.
Se quello era il loro obiettivo, hanno fallito. Per due motivi. Prima di tutto perché ci sono state centinaia (migliaia?) di persone che dopo quei giorni hanno continuato testardamente a fare attività politica. Io l’ho fatto per vent’anni e non ho nessuna intenzione di fermarmi.
In secondo luogo, perché le elaborazioni alla base del movimento che si è raccolto a Genova hanno permesso di leggere quel presente, questo presente e il prossimo futuro in maniera esemplare, lucida, netta.
La finanziarizzazione dell’economia, la bolla ideologica della globalizzazione e la sua trasformazione in sovranismo ai primi accenni di crisi, il capitalismo della sorveglianza, la precarizzazione delle vite: tutto annunciato, denunciato, descritto da quel movimento che (proprio per questo) è stato oggetto di un tentativo di repressione.
Genova non è stata una sconfitta. È stata una tappa. In tante e tanti proseguiamo.