L’Italia della politica è diventata tripolare: Pd, M5S, destre. Ma a guardar bene i poli della politica italiana sono anche di più. Le ultime elezioni comunali, tra primo turno e ballottaggi, ne hanno espressi almeno cinque. Eccoli: il Movimento Cinque Stelle, il Pd di Renzi, il Pd non-renziano, le sinistre dismogenee da Fassina a Rizzo, le destre lacerate in uno scontro tra la coppia Meloni-Salvini e la coppia Gelmini-Parisi.
Ciascun polo alle ultime amministrative ha manifestato una propria identità, maggioritaria o minoritaria a seconda dei casi, ma comunque un’identità definita. Certo, nulla esclude che con l’avvicinarsi delle prossime politiche i cinque poli vadano a ricompattarsi. Vedremo. Per ora, però, il conto arriva a cinque.
Un conto che Memos ha sottoposto alla politologa Nadia Urbinati, della Columbia University di New York, nuova presidente di “Libertà e Giustizia”.
Esiste anche per lei questa pluripolarità della politica italiana?
«Sì, la vedo. A parte il M5S, che naviga in solitaria, gli altri sono agglomerati – più o meno urbani o civili o coerenti tra loro – legati da esigenze pragmatiche di conquistare la poltrona del sindaco. Il sistema elettorale a doppio turno pone un assembramento sotto un unico nome. E’ come se fosse una coperta che però non copre tutti allo stesso modo. Alcuni restano fuori insoddisfatti, altri restano dentro ma con un piede sempre fuori. Il sistema a doppio turno così fatto impedisce a queste entità collettive poco omogenee di produrre dei guai. Il sindaco, infatti, farà la sua giunta, governerà in solitudine e il consiglio comunale avrà un ruolo di sostegno e non altro. In sostanza è il modello Italicum. Quindi, anche se sono tanti e frammentati basta che venga eletto il capo, tutto il resto non avrà nulla da dire. Il momento della pluralità, anche scalpitante, si manifesta durante la campagna elettorale, poi scompare».
Nel corso della puntata di oggi Nadia Urbinati analizza i diversi poli della politica italiana e per ciascuno di essi offre spunti interessanti.
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