Piovono Rane

Calenda, il Gladiatore, Virginia e i sette nani

Nella campagna elettorale per il prossimo sindaco di Roma per il momento ci sono solo due certezze.

La prima: si andrà al ballottaggio, nessuno prenderà il 51 per cento al primo turno.

La seconda: allo stato il candidato con più visibilità in città è Carlo Calenda, l’ex ministro e fondatore di Azione.

Calenda è praticamente dappertutto: appiccicato sugli autobus (in versione un po’ dimagrita dal photoshop), nei talk show televisivi locali e nazionali (che di solito si concludono a insulti con altri politici presenti o assenti), nella paginate entusiaste che gli regala il Messaggero di Caltagirone.

Ma appare anche in carne e ossa per le strade, specie quelle di periferia, dove coraggiosamente scende dal suo pulmino customizzato prendendosi i lazzi e il body-shaming degli indigeni.

Il presenzialismo estremo di Calenda è diventato un motivo di divertimento e battute non sempre correttissime, tipiche di una città che ha visto tutto e che tutto trasforma in parodia, dall’arrivo degli americani nel ’44 a quello dei leghisti nel ’92, e poi i grillini con i loro zainetti nel 2013, quindi il marziano Marino e adesso ecco Calenda, con la sua buffa aggressività verbale, che fa di tutto per uscire dalla vignetta  – ahimé, non infondata – del pariolino che a un certo punto scopre l’esistenza pure di Tor Bellamonaca.

Il risultato è paradossale, come spesso avviene da queste parti: uno che si presenta con l’assertivo slogan “Roma sul serio” il quale tuttavia non viene preso in alcun modo sul serio – anzi diventa meme comico.

L’altra sera tra amici – panel non rappresentativo, s’intende  – ci si chiedeva chi potrebbe votare Calenda, chi tra i conoscenti di ciascuno potrebbe scegliere l’ex manager montezemoliano, e qualcuno ogni tanto esplodeva in un “ah sì, ecco!” tutto contento perché gli era venuto in mente una collega, un amico di un amico, magari una zia attivista radicale che seguirà le indicazioni della Rosa nel pugno, ora schierata con Calenda.

Un sondaggio recente invece attribuisce all’ex ministro un buon risultato, addirittura a due cifre, che poi è quello che ha preso un paio di volte Alfio Marchini (ve lo ricordate?), il quale pure tappezzava la città di se stesso e si rivolgeva – a occhio – allo stesso elettorato, quelli che “la politica ormai è solo know how tecnico manageriale“, non ideologia ma nemmeno visione sociale.

Come Calenda userà poi questo tesoretto di voti, se davvero lo incassa, è cosa sua.

Al ballottaggio invece andrà il fasciogladiatore Enrico Michetti, il “prof prof prof” di Radio Radio che tra l’altro farà il pieno di taxisti, oltre che di nostalgici dell’Impero romano sui cui fasti e tasti il candidato di destra batte ogni santo giorno.

La lotta per il secondo posto – quindi per il ballottaggio contro Michetti – sarà infine cosa tra Gualtieri e Raggi, un altro ex ministro e la sindaca uscente.

Il primo per ora non è pervenuto se non nella moscissima campagna per le primarie del centrosinistra, i cui concorrenti vengono simpaticamente definiti i “sette nani“, data la loro statura politica non esattamente globale.

Raggi invece, dopo essersi imposta perfino su Conte e Zingaretti pur di ritentare la corsa al Campidoglio, ora punta sull’immagine di una città che sta rinascendo nonostante i media e l’establishment per liberarsi di lei ogni giorno pubblicano malevolmente foto di monnezza, voragini d’asfalto e cinghiali sulla Cassia.

Onestà intellettuale porta a dire che dopo un inizio disastroso, Raggi ha probabilmente fatto il possibile, diverse strade sono state riasfaltate, piazza Venezia non è più la Parigi-Dakar, i cassonetti dei rifiuti sono a livelli fisiologici e non dissimili da quelli degli ultimi venti o trent’anni.

Ma grandi slanci non ce ne sono stati, no, a ogni piovasco i tombini si intasano come prima, né di più né di meno, le famose ciclabili sono solo strisce di gesso disegnate sui marciapiedi, che il più delle volte finiscono nel nulla. E le mirabolanti promesse a Cinque stelle del 2016 è meglio non andarle a guardare perché il retrieval sarebbe impietoso.

Se si cambierà sindaco, insomma, lo si farà più che altro per divertirsi, per scacciare la noia, nessuno pensa davvero che né il Gladiatore né il più noto dei Sette nani piddini cambieranno alcunché, alla fine, come sempre.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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    Il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ospita un'ampia mostra personale dell'artista iraniana SHIRIN NESHAT vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia del '99, del Leone d’argento per la miglior regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Premium Imperiale a Tokyo mel 2017. I temi esplorati dall'artista sono quelli dell’identità', della memoria e dell’appartenenza. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”. La ricerca di Shirin Neshat però travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà. La mostra è visitabile dal 28 marzo all'8 giugno. Il servizio di Tiziana Ricci.

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