
Esattamente quarant’anni fa a Vermicino, alle porte di Roma, il piccolo Alfredino Rampi cadde in un pozzo artesiano e morì dopo tre giorni. Tre giorni interi durante i quali le operazioni di soccorso furono riprese in diretta dalle telecamere dei telegiornali nazionali.
Quell’evento si trasformò in un tragico reality e inaugurò un nuovo modo di intendere la televisione italiana. A condurre il TG1 quel giorno c’era Piero Badaloni, all’epoca 35enne, che si trovò a raccontare e gestire una diretta di oltre 36 ore. Nell’anniversario della morte di Alfredino, abbiamo raggiunto proprio Piero Badaloni per ripercorrere con lui quelle interminabili ore in cui furono commessi errori e si inaugurò quella che oggi definiamo “spettacolarizzazione del dolore”.
L’intervista a cura di Bianca Senatore:
È un ricordo un po’ di tristezza, ma anche di rabbia perchè sono convinto che si poteva fare di più o tentare in modo diverso di salvare il bambino. Ad ogni anniversario resta sempre la domanda se sia stato giusto seguire per così tanto tempo un fatto di cronaca senza sapere come sarebbe andata a finire. Noi avevamo un inviato sul posto a Vermicino che ci fece capire che si sarebbe arrivati in poco tempo a salvarlo. Ovvio che a quel punto il telegiornale non poteva essere più chiuso, ma doveva restare aperto in attesa di vedere questo salvataggio.
Lì partirono quelle micidiali ore in cui dall’ottimismo si passò presto all’angoscia, all’incertezza e al pessimismo. Seguendo ora dopo ora questo scavo e le difficoltà di bucare roccia granitica si creò un coinvolgimento emotivo immenso. Ormai interessava soltanto sapere come sarebbe andata a finire, non interessavano più lo scandalo della P2, né i problemi internazionali o la crisi politica italiana. Solo Alfredino.