Mia cara Olympe

2 giugno, le parole delle donne al voto

Riuscite oggi a immaginare il voto come cosa preziosa, emozione, che chiede il vestito della festa e, per non stropicciare la scheda, mani leggere?
Riuscite a sentire quelle conversazioni tra uomini e donne, nelle lunghe file davanti ai seggi  – qualcuna si portò la seggiolina da casa –  che finalmente, racconta Anna Garofalo, assumono ‘un tono diverso, alla pari’?
Riuscite a non consegnare solo alla storia, in tempo di passioni politiche traballanti e disaffezione al voto, quel  ‘vertiginoso ritrovarsi  davanti a me, cittadino’ come da autodescrizione – notate, al maschile –  di Maria Bellonci?
E potete immaginare, nella sua casa di Matera, seduta a un tavolino, Irene D’Amato rispondere al suo giornale preferito, il settimanale Gioia che ha chiesto alle sue lettrici come si preparano al primo voto, quello del referendum del due giugno? E lei a scrivere seria seria che andrà a votare ‘serena e fiduciosa’ perché così contribuirà alla rinascita del paese?
Riuscite a mettervi nei panni di quelle donne, uscite da una durissima guerra che per molte ha significato assumere ruoli e responsabilità maschili e che poi sono tornate a casa, che ricevono la scheda con emozione e senso di responsabilità, qualcuna con la  paura di sbagliarsi una volta lì, con la matita in mano.

La racconterei nelle scuole, spero si faccia e non in poche righe in fondo al capitolo sul libro di storia, questa prima volta delle donne al voto, ‘voto segreto che significava potersi sottrarre al controllo e alla subordinazione. Anche dagli uomini della famiglia’, come scrive la storica Anna Rossi Doria. Leggerei il referendum di Gioia e spiegherei quanto sono stati importanti i settimanali femminili nel costruire una nuova soggettività delle donne, spiegherei che nulla è stato regalato, che il percorso verso quel voto è una potentissima metafora che racconta quanto la cittadinanza delle donne sia ancora faticosa, costellata di agguati, rischi, tentativi di ricacciarle indietro. E di distanze, profonde distanze da ciò che la Costituzione detta in tema di parità, eguaglianza, diritti.

Lo farei anche con le parole di  Tina Anselmi, una che c’era e che rappresenta la faccia migliore di quella Democrazia cristiana che deve dire grazie alle italiane, perché  – lo raccontano gli studiosi della politica e dei flussi elettorali –  se nel dopoguerra in Italia non ci fu la svolta a sinistra si deve al voto delle donne che prestavano orecchie attente e ossequenti alla propaganda anticomunista della Chiesa cattolica. E se da questa parti ciò provoca rammarico, le poche righe che seguono illuminano benissimo il due giugno conquistato delle italiane: ‘Fin dalle prime elezioni  parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure (e anche le resistenze, ndr) di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini”.

 

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, ospita un'ampia mostra personale dell'artista iraniana SHIRIN NESHAT vincitrice del Leone d’oro alla Biennale di Venezia del '99, del Leone d’argento per la miglior regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Premium Imperiale a Tokyo mel 2017. I temi esplorati dall'artista sono quelli dell’identità', della memoria e dell’appartenenza. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”. La ricerca di Shirin Neshat però travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà. La mostra è visitabile dal 28 marzo all'8 giugno. Il servizio di Tiziana Ricci.

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