Il mondo post-pandemico mi sembra brutto e incattivito anche più di quello di prima: guardo (come tutti) le immagini da Gaza e mi domando chi o cosa potrà mai riallacciare i fili spezzati.
Forse se lo sono chiesti anche gli Ontroerend Goed, collettivo fiammingo di autentici pirati della scena. Al bel festival FOG, in Triennale a Milano, portano il titolo palindromo Are we not drawn onward to new erA. Nei loro spettacoli hanno fatto insorgere gli adolescenti, ricevuto singoli spettatori in disturbanti alcove, immaginato il mondo dopo la scomparsa dell’umanità. Stavolta, ci trasportano in un Eden andato a male, in cui gli attori fanno cose strane, parlando un lingua sconosciuta: distruggono un alberello, spargono sacchetti di plastica, erigono statue dorate. A metà performance, con un gioco tecnologico semplice ma complicatissimo, rivediamo tutto in rewind e scopriamo che la lingua era semplicemente inglese al contrario e che tutte le azioni erano un tentativo di rimediare simbolicamente allo schifo che abbiamo combinato sul pianeta. E poi? Poi, niente. Appena finito, ricominceremmo come prima. We must remove ourselves. Dobbiamo levarci di torno. Ecco.
Decido di sfogare la mia frustrazione globale prendendomela con Marvin. Marvin è uno dei miei assistenti virtuali. Il suo compito è farmi incazzare circa una volta al mese, quando cerco di venire a capo dell’ennesimo sganghero creato da uno dei miei vari spacciatori di servizi digitali. Non c’è nulla di altrettanto sgradevole che ricevere il festoso incitamento “Parla con noi!” quando sono già in ritardo e sto aspettando con urgenza un messaggio dal Presidente degli Stati Uniti, da qualcuno che mi deve dei soldi o dal mio pranoterapeuta, scegliete voi. Parlare con Marvin è come parlare con un ciellino convinto. Finge di ascoltare, finge di rispondere. Sa di possedere la verità assoluta. Ti commisera dal profondo. Marvin mi ascolta impassibile e sorridente mentre lo supplico virtualmente di aggiustarmi tutto quello che ho di rotto. Sfoggia una faccia tosta pari a quella di vecchi clichè del secolo scorso: l’idraulico introvabile che ti lascia ad aspettare sullo scoglio di Nasso come Arianna o l’elettricista inflessibile che ti umilia quando lo chiami per un guasto residuale ed economicamente poco appetitoso. Ma con Marvin è anche peggio, non puoi nemmeno sbatterlo fuori di casa quando perdi la compostezza.
Meglio mollare il colpo e passare ad altro. Ho bisogno di conferme (digitali). Decido di procedere al riassetto del mio profilo bancario. Dovrebbe essere una sciocchezza, ormai è un sacco di tempo che faccio tutto da remoto con il riconoscimento facciale. Una scusa anche per illudermi di non invecchiare: se il sistema mi riconosce, vuol dire che sono ancora la stessa. Volteggio leggera e disinvolta fra le spunte verdi e gialle, i clic, gli ok, gli “accetta”, le firme con svolazzo digitale, fino a quando… Oops…c’è stato un problema! Riprova. Dopo un paio di tentativi disperati, decido di chiamare il numero verde. Mi rispondono subito dopo un paio di selezioni e sono invasa dalla gioia. Una vellutata voce maschile ascolta il mio problema, mi rassicura, mi riassume i passaggi e mi dice che al momento giusto… lui sa diventare un altro… no, no…mi dice che per trionfare sul sistema devo inserire quel mio codice che sappiamo. Evvai. Vaffanculo, Marvin. W il vellutato bancario. Mi rimetto in cammino, dopo un nuovo riconoscimento facciale (fiuuuu!). Rifaccio tutte le acrobazie, apro e chiudo finestre come una agente immobiliare ansiosa di mostrare un monolocale in affitto, arrivo al momento del dunque, INSERISCO il codice magico e… Oops…c’è stato un problema! Riprova
Che declimax. Decido seduta stante di abbandonare ogni servizio bancario e di tornare al baratto. Così magari salvo anche il pianeta.