‘Che ne pensate dell’uso del termine survivor al posto di vittima?’ chiede una studentessa durante il corso multidisciplinare che si sta svolgendo all’università di Pavia in questi giorni, decimo anniversario di quella Convenzione di Istanbul da cui proprio la Turchia si è sfilata, ma che resta pietra miliare del percorso faticoso per far emergere, nei codici come nella pubblica discussione, la violenza di genere per quel che è, ovvero una violazione dei diritti umani.
Dunque: survivor o vittima? Aggiunge la studentessa: ‘In inglese il termine ha un significato più dinamico del suo equivalente in italiano, indica un percorso…”. Ha ragione e in ambito anglosassone, nei femminismi, la questione dell’alternativa all’uso della parola vittima si è posto da tempo. Ma ciò che colpisce – anche a proposito di un altro dibattito, è vero o no che il femminismo è diventato ‘ vittimista?- è dove, nella conversazione, cade l’accento. La domanda della studentessa contiene infatti un implicito e prezioso no ad una scomoda sedia, quella che immobilizza e congela le donne in un ruolo – la vittima di violenza appunto – senza valorizzare la capacità di uscirne che tante per fortuna hanno trovato in se stesse, spesso con il sostegno dei centri antiviolenza.
C’è della forza femminile, ci sono autonomia e volontà delle donne sui cui fare leva e molte voci e vite ne sottolineano l’importanza, facendo da contrappunto ai terribili passi indietro che tocca registrare a dieci anni da Istanbul e soprattutto nei paesi che di quella convenzione hanno più bisogno. Come la ragazza straordinaria, oggi brillante studentessa di matematica, ieri giovanissima in balia di un coetaneo manipolatore che le aveva sequestrato la vita e, alla fine, l’ha ridotta sanguinante per strada dopo averle fatto fare a calci le scale di casa.
Ho intercettato il suo racconto, occhi alla telecamera e nessun cedimento, durante la trasmissione che si intitola appunto ‘Sopravvissute’ , su Rai3 qualche sera fa. Se la strage delle donne non si ferma – di pochi giorni fa la storia terribile di Tortolì che è costata la vita a Mirko, una ragazzo di 19 anni che ha difeso la madre, ora gravissima in ospedale, dall’aggressione del suo ex compagno – quel racconto mi è sembrato un gesto da ammirare e, al contempo, un salto di qualità anche della tv nostrana che, in tema di violenza, ha assai abusato (e tuttora accade) di toni morbosi ed enfatici, costringendo le donne nell’unico paradigma di vittima a scopo di audience.
C’è un’altra strada, insomma, e il coro potente delle survivor ce la indica.