In un gruppo che si occupa di sicurezza sul lavoro, un manutentore racconta il suo licenziamento per aver installato un dispositivo di emergenza su un macchinario, nonostante il datore di lavoro gli avesse detto di non farlo. Il caporeparto si accorse dell’installazione perché il dispositivo entrò in funzione, fermando la macchina, per evitare un incidente. I sensori vennero poi rimossi e il manutentore licenziato. Inseguito, un collega perse la mano lavorando su quel macchinario. Nello scorso marzo, la UIL ha denunciato il licenziamento del proprio Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza, RLS, in un’azienda agricola di Brescia dove aveva segnalato un possibile focolaio a seguito di un contagio. Il 2 maggio 2018, Alex Villarboito, RLS della Sacal Alluminio di Vercelli, venne licenziato per aver raccontato alla stampa di un grave incidente avvenuto in azienda. Stessa sorte toccata ad un collega dell’Acciai Speciali di Cogne. Andando indietro nel tempo, uno dei casi più noti e clamorosi è quello del macchinista Dante De Angelis, licenziato due volte per aver denunciato pubblicamente le carenze di sicurezza sulle ferrovie. Due volte è stato licenziato anche un RLS dell’USB della Enac, azienda agricola del gruppo Riso Scoti, reintegrato poi a febbraio di quest’anno.
La vita dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza è dura in molte aziende, se lo si fa con cognizione e determinazione: una guerra a colpi di provvedimenti disciplinari, richiami, lettere, sospensioni, fino al licenziamento, spesso con motivazioni pretestuose e risibili. Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e RLS che alle morti sul lavoro ed alla sicurezza dedica la sua passione civile e le sue energie, potrebbe raccontarne molte altre “che non arrivano sui giornali”, mi dice. Difficile avere dati su quante dei 6 milioni di aziende registrate in Italia non abbiano RLS, che sarebbero obbligatorie. Il problema, secondo Bazzoni, è che è sempre più difficile trovare chi abbia voglia di farlo. Come mai? Il tema si pone soprattutto nelle piccole o micro imprese, o quelle a gestione familiare come la fabbrica tessile dove è morta Luana D’Orazio. “In quelle con oltre 15 dipendenti, dopo che il jobs act ha abolito l’articolo 18, pochi hanno paura di proporsi per paura di essere licenziati, o se accettano di denunciare le carenze. Così come in quelle più piccole dove non c’è tutela e spesso si autonomina RLS il figlio od un parente del titolare, perché non è automatico, i lavoratori devono organizzarsi ed eleggerlo, ma se non c’è il sindacato hanno paura”. E’ in queste realtà che più spesso accadono gli incidenti: dove non c’è “controllo da dentro”, in assenza dei sempre più improbabili controlli esterni. La sicurezza sul lavoro passa anche dai rapporti di forza: indebolire le tutele significa anche rendere chi lavora meno sicuro.
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