Il recovery plan è come un abito su misura scritto su misura per un governo come quello attuale. Cade perfettamente come un vestito di sartoria sul profilo ideologico, culturale e di visione economica di Draghi e dell’esecutivo, pensando a ministri come Franco all’economia, o Cingolani alla transizione ecologica, o Colao all’innovazione tecnologica. Tecnici che stanno danno una impronta politica che per essere realizzata ha bisogno di tempo. Lo stesso Draghi ha fissato l’orizzonte al 2027 ovvero alla fine della prossima legislatura. Il problema è: chi avrà le leve del comando nella prossima legislatura?
L’ipotesi che vinca una destra guidata da Salvini e Meloni è probabile e il recovery plan verrebbe messo in discussione. Del resto anche se vincesse un centrosinistra sulla linea, mettiamo, Conte-Pd le frizioni verrebbero prima o poi alla luce. Questa la preoccupazione nei Palazzi che sponsorizzano l’attuale recovery plan, da Palazzo Chigi al Quirinale. E allora che fare? Un piano ardito ma che potrebbe funzionare è: Mattarella confermato presidente, in modo da avere un garante al Colle e al tempo stesso togliere l’incombenza a Draghi il quale così potrebbe a sua volta venire riconfermato a Palazzo Chigi, forte anche di una popolarità in crescita. Certo, ci sono le elezioni di mezzo.
Servirebbe di nuovo un risultato senza un vincitore chiaro e netto che possa reclamare la guida del governo. La tradizione italiana vuole che questo scenario abbia più possibilità di verificarsi con una legge proporzionale. C’è un anno di tempo, per mettere insieme tutte queste caselle, per chi lavora a una riconferma di Draghi e della sua squadra e di questo recovery plan