Cos’è, cos’è
Che fa andare la filanda
È chiara la faccenda
Son quelle come me
Giorni abbastanza convulsi determinano riflessioni sovrapposte. All’accelerazione vaccinale un po’ confusa, contrassegnata dalla divisa eccessiva del generale Figliuolo, si alternano le immagini di un 25 aprile pieno di bambini che a Milano reggono la bandiera arcobaleno fra il Piccolo Teatro e via Dante, o quelle dei comici che risalgono emozionati su un palco, sia pure in streaming. Ai nuovi naufragi nel Mediterraneo, tomba liquida dalle proporzioni ormai degne del mito greco, si affiancano saltimbanchi e tecnici di scena che vogliono essere finalmente riconosciuti dalla società.
Ma le voci che in questo periodo di serrata cronaca in diretta mi colpiscono di più sono quelle femminili, che annunciano, senza troppe cerimonie, che qualcosa è cambiato. Ma non abbastanza.
Lo dicono le socie di A.M.L.E.T.A. (un collettivo femminista intersezionale nato durante il lockdown e formato soprattutto da attrici) che snocciolano in una interessante mappatura alcuni dati impressionanti: solo il 21,6% degli spettacoli teatrali prodotti in Italia è firmato da donne; nessun teatro nazionale è diretto da donne e sono poche anche quelle che dirigono altri grandi teatri (6 su 25); le drammaturghe superano di poco il 20% rispetto ai colleghi; così anche le responsabili degli adattamenti; un po’ meglio va alle attrici, che tuttavia sono comunque meno degli attori, soprattutto nelle sale principali; oltretutto, sono fra le lavoratrici dello spettacolo più soggette a molestie e ricatti di natura sessuale, quasi sempre taciuti. Che bel quadretto, eh? Fateci caso, la prossima volta che andate a teatro.
Anche le fondatrici di AWI – Art Workers Italia sembrano rappresentare, con la loro utilissima associazione nata da un anno appena e volta all’assistenza e alla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori del campo delle arti visive, una realtà tuttora incontrovertibile: spesso sono le donne, in genere pagate meno e meno tutelate, a mettere il dito nella piaga, a individuare concretamente un problema. Possibile che in Italia, il paese con il più vasto patrimonio artistico al mondo, nessuno abbia mai realmente pensato di richiedere e stilare una regolamentazione per attività essenziali al settore come la curatela, la scrittura di testi, la conservazione dei beni artistici, l’allestimento di mostre e opere d’arte, l’attività trasversale degli artisti?
Intanto, a proposito di donne, muore la Rossa, come la chiamava Jannacci. Milva era intelligente e poliedrica, protagonista di una carriera straordinaria, che la porterà dalle balere del Delta del Po a ricevere la Legion d’Onore in Francia. La sua determinazione a imparare ed evolvere le farà vivere una grande avventura brechtiana con Giorgio Strehler e la renderà capace di cantare in tedesco per i tedeschi, in francese per i francesi, in giapponese per i giapponesi, mandando tutti in delirio. Ma la Rossa aveva le idee chiare anche in fatto di politica: le sue interpretazioni di musica popolare, la versione ormai leggendaria di Bella Ciao, le molte incursioni nel femminismo, come con La Filanda, cover di un celebre pezzo portoghese, le valsero il rispetto dei suoi contemporanei e di tutti noi. La camera ardente allestita al Piccolo Teatro Strehler e l’iscrizione nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano sono il giusto riconoscimento per un’artista e una donna eccezionale.
Osservo una sarta di scena che cuce insieme scampoli colorati per una installazione nel Chiostro del Piccolo Teatro Grassi, dove fra poco terminerà la lunga occupazione delle lavoratrici e lavoratori dello spettacolo. Capisco che anche per lei, come in tanti ci hanno raccontato in questi lunghi mesi di immobilità, il suo lavoro è il più bello del mondo. Fra poco, i teatri riapriranno, un po’ acciaccati e guardinghi. Forse, finalmente, anche lo spettacolo dal vivo avrà maggiore dignità istituzionale. Nell’attesa, buono spettacolo… a tutti e a tutte.