Appunti sulla mondialità

Paesi emergenti: i colossi dai piedi di argilla

Anche per i Paesi emergenti è arrivato il momento di pagare tributo al Covid-19. Nella prima parte del 2020 gli Stati più popolosi di quello che una volta si chiamava “terzo mondo” erano rimasti spettatori silenti della drammatica esplosione della pandemia in Cina, Europa Occidentale e poi negli Stati Uniti. Poi il coronavirus ha cominciato a dilagare in Brasile, in Indonesia, in Bangladesh, per arrivare all’attuale situazione fuori controllo in India. Tutti questi Paesi, pur avendo avuto mesi e mesi per prepararsi osservando le esperienze cinese ed europea, non hanno fatto nulla di concreto. In alcuni casi, come in Brasile, il governo ha diffuso false notizie e si è preoccupato di sabotare chi voleva prevenire la tragedia. Il caso indiano è in realtà ancora più paradossale, perché in questo momento l’India è il vero “laboratorio mondiale” di AstraZeneca: la multinazionale farmaceutica produce il 38% dei suoi vaccini in tredici laboratori dislocati in tutto il Paese. Nel complesso la capacità produttiva indiana è gigantesca, viene valutata in 3,5 miliardi di dosi all’anno, seconda solo agli Stati Uniti. Lo stesso vale per il Brasile, che fabbrica a São Paulo il Sinovac su licenza cinese ma che ha iniziato la vaccinazione solo mesi dopo avere raggiunto la testa della classifica mondiale per numero di decessi giornalieri.

Sono questi i chiaroscuri dei Paesi emergenti, ai quali si può aggiungere la Russia che ha sviluppato un vaccino molto efficace, o almeno così pare, esportandolo in 38 Paesi, ma che i russi non vogliono (o non possono) farsi iniettare. Da un lato ci sono capacità scientifiche e produttive alla pari con quelle dei Paesi occidentali, dall’altro strutture sanitarie scadenti o inesistenti per i cittadini poveri, di buon livello solo per chi può pagarle. A tutto ciò si deve sommare l’impreparazione delle classi politiche, un dato se vogliamo universale ma che in alcuni di questi Stati rasenta la negligenza criminale, come nel Brasile di Bolsonaro o nell’India di Modi. Aggiungiamo ancora le condizioni precarie di vita, l’affollamento abitativo, la mancanza di acqua e di denaro per acquistare i dispositivi di prevenzione, e infine il disastro sociale che si crea quando la massa enorme dei lavoratori cosiddetti informali, cioè in nero, deve rimanere chiusa in casa per il lockdown. In Brasile ormai il tema è la fame, non più la pandemia che pure continua a dilagare. Il governo e le Ong devono dividere gli sforzi per sfamare milioni di persone e contemporaneamente procedere con la vaccinazione.

Ciò che sta accadendo ai “giganti emergenti” colpiti dalla pandemia mette a nudo le contraddizioni del processo di transizione sociale ed economica ancora in corso in molti di questi Stati, dove un imprevisto, anche meno drammatico della pandemia, o un governo maldestro possono fare rimpiombare milioni di persone addirittura nella fame. La situazione attuale racconta anche l’esiguità di ciò che la globalizzazione lascia in questi Paesi, dove sono stati delocalizzati servizi e industrie inseguendo esclusivamente il basso costo della manodopera. Per i cittadini non esiste quasi nessuna capacità di risparmio: si vive di precariato permanente e circa il 40% dei lavoratori è in nero o improvvisa attività informali di vendita ambulante. Per questo i Paesi emergenti rimangono colossi dai piedi di argilla, che possono alimentare ciclicamente le fiammate rialziste del mercato mondiale, ma si trascinano un’eredità di disuguaglianze e cattiva gestione che nei momenti di crisi vanifica ogni risultato raggiunto. Non è dato sapere quali saranno, alla fine, le lezioni apprese da questa pandemia: ma si può scommettere che poco o nulla cambierà non appena soffierà il vento della ripartenza economica e si saranno dimenticati i lutti. Fino alla prossima crisi

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Greenwich Village, anni ‘60: un tuffo nel passato con Elijah Wald

    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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    Le statistiche di fine anno sugli artisti più ascoltati su Spotify e la rubrica LGBTQ+ a cura di Piergiorgio Pardo. Nella seconda parte l'intervista con mini live di Elijah Wald, che ci racconta le sue avventure nel Greenwich Village degli anni '60, il quiz sul cinema e il concerto dei Royal Otis di ieri sera al Fabrique

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