Il racconto della giornata di martedì 27 aprile 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Un nuovo studio sulla pandemia conferma che tra vita e profitto, il governo ha scelto il secondo. Il Recovery Plan sembra mettere d’accordo tutte le forze di maggioranza, ma il piano non contiene una bandiera identitaria del Partito Democratico e, dopo il passaggio in CdM, ha perso anche ogni riferimento al salario minimo. Prima sentenza in Italia inquadrata nella nuova normativa che disciplina la produzione di cannabis in Italia a scopo terapeutico. Infine, i dati di oggi sull’andamento dell’epidemia da COVID in Italia.
Lo studio sulle riaperture anticipate che il governo ha deciso di ignorare
(di Massimo Alberti)
La novità non sta tanto nel contenuto, che è quanto tutti i modelli indicano nel calcolare l’impatto delle frettolose riaperture. La novità è che quei dati fossero in mano al governo valutando, nonostante ciò, che evitare almeno 200 morti al giorno non valesse una cena al ristorante. L’istituto Bruno Kessler fa i conti sulle curve per l’Istituto superiore di sanità: Lo studio che il 16 aprile ha messo sul tavolo dell’esecutivo, lascia poco spazio ad interpretazioni. Aspettare un mese a riaprire voleva dire salvare migliaia di persone. Ma di nuovo, tra vita e profitto, il governo ha scelto il secondo. Il problema nasce dall’incrocio dell’alto livello di contagi, e dalla ancora bassa copertura vaccinale delle fasce a rischio. Se l’Rt, l’indice di trasmissione, ricresce a 1, avremmo tra i 200 e i 300 morti al giorno, dice lo studio, mentre rimandando le riaperture al 12 maggio, i morti potevano essere un terzo. Questo perché a fronte di un calo del tasso di letalità grazie ai vaccini, salirebbero però i contagi, mantenendo quindi la stessa soglia di vittime.
Lo studio visionato dal governo si spinge anche oltre: senza nuove restrizioni, con un RT a 1,1 si arriverebbe a metà luglio con 600 morti al giorno, a 1,25 fino a 1.300. Più che un rischio calcolato quello di Draghi sembra un azzardo. Anche perché nell’ultima settimana l’RT calcolato da alcuni modelli è già risalito a 0,94, con contagi stabili ancora una settimana e poi destinati a risalire. Dati che, se ce ne fosse ancora bisogno, mostrano il fallimento del tira e molla del sistema a zone. Ma con le pressioni politiche in altra direzione, la scelta è stata di non aspettare a riaprire, ritenendo evidentemente tollerabile una quota fissa di 300 potenziali morti al giorno.
Il centrodestra detta l’agenda di governo sul coprifuoco
(di Michele Migone)
Il centrodestra detta l’agenda di governo sul coprifuoco, dentro e fuori dalla maggioranza.
Lo seguono Matteo Renzi e parte del PD, in particolare i governatori, e dietro, a ruota, il resto del partito di Letta e i 5 Stelle, incapaci di smarcarsi dalla competizione, ma anche dal gioco di sponda tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Mario Draghi si trova in mezzo. Per la prima volta, oggi, è apparso subire le dinamiche dei partiti, con il governo di unità nazionale finito in una spirale di pericolosa confusione. La questione del coprifuoco verrà risolta a metà maggio, a favore degli aperturisti. Nel pomeriggio, l’annuncio di una mozione della maggioranza che impegna il governo a rivedere il divieto entro un paio di settimane.
È stato il ministro D’Incà a convincere Draghi ad appoggiare l’iniziativa. C’era troppa tensione con la Lega. Salvini era tra l’incudine del governo e il martello della mozione dei Fratelli d’Italia per l’abolizione del coprifuoco subito, mozione che era in calendario oggi. La contromossa voluta da Salvini ha annullato quella della Meloni. Ma ha anche fatto sì che ora siano la Lega e Forza Italia a condurre le danze. Non è un caso che nel pomeriggio ci sia stato un vertice tra i due partiti per decidere una strategia comune da adottare sul Covid dentro il governo. Non era mai accaduto prima di oggi. E non è un caso che i due partiti non abbiano votato contro l’ordine del giorno della Meloni. Di fatto, una saldatura. Salvini si è così ringalluzzito che è tornato ad attaccare il ministro Speranza. Domani si vota la mozione di sfiducia presentata da Fratelli d’Italia. Sulla carta, non dovrebbero esserci sorprese, ma oggi il leader della Lega ha detto che prima di decidere come votare prima vuole parlare con il viceministro Sileri. “Di lui, mi fido”. Una minaccia. Tutto questo è accaduto nel silenzio, per ora, del Pd, dei 5 Stelle e di Leu.
Nel Recovery di Draghi manca una bandiera identitaria del PD
(di Anna Bredice)
I Cinque Stelle hanno legato l’ingresso nel governo alla nascita di un ministero per la transizione ecologica, una delle missioni del Recovery Plan che vale da sola 70 miliardi. È la loro bandiera e l’obiettivo da raggiungere insieme alla battaglia per mantenere il superbonus e il reddito di cittadinanza. LeU in questo momento combatte per la difesa del ministro Speranza e insieme a lui di una sanità pubblica che regga l’impatto della pandemia. Nell’area di centrosinistra del governo queste due forze hanno delle battaglie identitarie da combattere e raggiungere attraverso il Recovery plan.
E il Partito Democratico di Enrico Letta come si pone? L’ex ministro Gualtieri, intervenendo alla Camera, ha definito il piano di Draghi un “ottimo piano che conferma, rafforza e completa quello presentato da Conte“, nel cui governo Gualtieri era ministro dell’Economia. Al suo posto ora c’è un tecnico di fiducia di Mario Draghi, ma il PD difende questo piano perché cerca di farlo diventare il suo Recovery plan, condividendone missioni e obiettivi.
Del resto le sei missioni indicate da Draghi appartengono anche all’agenda del partito democratico: più crescita del Pil, occupazione e investimenti, finanziamenti per le infrastrutture, politiche per il lavoro e le donne, asili nido, transizione digitale ed ecologica.
Manca però dentro al piano una propria bandiera identitaria, dovranno forse cercarla quando si tratterà di scrivere la riforma del fisco, difendendo fino ai denti il principio della progressività.
Per il resto Letta ha costruito le bandiere identitarie del partito nella contrapposizione a Salvini, con lo Ius soli, con il voto ai sedicenni, con la visita a Open Arms, con l’invito alla Lega ad uscire dal governo se non accetta le decisione prese, come se volesse pian piano accompagnare fuori dalla porta Salvini, per trasformare sempre di più questo governo in un governo del Pd, e si vedrà se anche dei Cinque stelle, perché per ora dal Movimento che Conte si candida a guidare c’è ancora troppo silenzio. Ma l’impresa appare molto difficile, considerando la capacità di Salvini di imporre i propri temi.
Il salario minino sparisce dal Recovery dopo il CdM. Silenzio da PD e M5S
(di Massimo Alberti)
Un pessimo segnale. Dal Recovery Plan presentato in Parlamento è stato tolto il riferimento all’introduzione del salario minimo, una delle riforme chieste dall’Unione Europea.
La cancellazione del Salario Minimo dalle riforme di accompagnamento dei Recovery Plan, nonostante la stessa unione europea caldeggi la misura, è una delle indicazioni più evidenti della direzione presa dal piano che Draghi ha portato in Parlamento.
La bozza entrata in Consiglio dei Ministri parlava della necessità di una “rete universale di protezione dei lavoratori e di un salario minimo legale destinato ai lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale”. Ma una manina lo ha del tutto rimosso. Se non stupisce che questo accada in un governo ideologicamente neoliberale e attento agli interessi confindustriali e della finanza, sconcerta semmai che due dei partiti che lo compongono, PD e M5S non abbiano alzato un sopracciglio o chiesto di reintrodurre un provvedimento sul quale essi stessi avevano già presentato proposte di legge in Parlamento in attesa di essere discusse.
Proprio oggi uno studio di Mediobanca sottolinea come il guadagno di un anno di un manager dell’industria o dei servizi equivalga a 36 anni di stipendio di un lavoratore medio. Mentre a marzo il numero di beneficiari del Reddito o della pensione di cittadinanza è salito a 2milioni 600mila persone, segno di una povertà che galoppa. Il paragrafo cancellato insisteva sulla necessità di garanzie sociali più forti di fronte alla crisi per assicurare a tutti una retribuzione “idonea ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa”. Evidentemente per la maggioranza non era un principio così importante.
Assolto Walter De Benedetto. Primo passo verso il fondamentale diritto alla salute?
(di Claudio Agostoni)
Walter De Benedetto è un paziente affetto da artrite reumatoide, una malattia degenerativa che negli ultimi anni è avanzata a grandi passi, costringendolo a letto e soprattutto costringendolo a sopportare un dolore non sopportabile eppure continuo. Proprio per lenire questo dolore da tempo Walter si cura anche con la cannabis terapeutica. Per anni ha chiesto all’ASL di competenza che gli venisse aumentato il quantitativo di cannabis fornita, ma non ha ricevuto risposte. Per trovare un sollievo maggiore, e per non essere costretto ad acquistare la cannabis illegalmente, decise di coltivarla nella serra del suo giardino.
Nell’ottobre del 2019 i Carabinieri di Arezzo fecero irruzione a casa sua mentre un amico di Walter stava innaffiando le pianticelle di cannabis. Da quel momento è iniziata la disavventura legale di Walter, che ha coinvolto l’amico (che è stato condannato ad un anno), mentre Walter è finito sotto processo, per concorso di coltivazione di sostanza stupefacente, rischiando sino a 6 anni di carcere. In pratica Walter è sotto processo proprio nel momento in cui in Commissione Giustizia al Senato della Repubblica si discute di una legge che renderebbe legale l’autoproduzione.
In una lettera che aveva scritto al presidente Mattarella, Walter ha scritto che “non ha più tempo per aspettare i tempi di una giustizia che ha sbagliato il suo obiettivo, e non ha più tempo di aspettare le ragioni di istituzioni così caute da essere irresponsabili. Il tutto mentre il dolore non aspetta”. Al suo fianco, oltre agli amici storici, è cresciuta una pattuglia di militanti antiproibizionisti e di artisti (Erriquez della Banda Bardò aveva scritto una canzone su musica dei Matti delle Giuncaie dedicata proprio a Walter). Oggi il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Arezzo ha assolto Walter De Benedetto perché il fatto non sussiste. Che sia un primo passo verso il fondamentale diritto alla salute?
L’India travolta dal COVID. Nessuno è salvo finché tutti non sono salvi
(di Martina Stefanoni)
Uno tsunami, o un incendio. Il campo semantico di riferimento quando si parla della seconda ondata di COVID-19 che sta scuotendo l’India è quella della catastrofe naturale. I casi giornalieri crescono ogni giorno esponenzialmente, gli ospedali sono al collasso, i pazienti non riescono a trovare un letto e quando lo trovano, manca l’ossigeno.
I roghi funebri lungo le rive del Gange sono ormai un cupo simbolo nel resto del mondo della ferocia con cui il virus sta colpendo la penisola indiana, lasciandola a fare i conti con una crisi sanitaria e umanitaria che non ha niente a che vedere con la prima ondata. [CONTINUA A LEGGERE]
L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia
🔴 #Covid19 – La situazione in Italia al 27 aprile: https://t.co/8ciMmO9yfx pic.twitter.com/BMCcsyMbfm
— Ministero della Salute (@MinisteroSalute) April 27, 2021
Continuano a diminuire i ricoverati nelle terapie intensive (-19) e nei reparti (-5). A fronte di 35.798 tamponi effettuati, sono 1.369 i nuovi positivi (3,8%). I guariti/dimessi sono 1.228
👉🏻 https://t.co/5esKKdwhCW#lombardia #regionelombardia #coronavirus #covid_19 pic.twitter.com/nd0hXF2mIB
— Regione Lombardia (@RegLombardia) April 27, 2021