Non aggiungerò una sola parola di commento al video di Grillo che difende il figlio, imputato e in attesa di giudizio insieme ad altri coetanei, di violenza sessuale ai danni di una ragazza. Sul suo contenuto, sulla cultura che lo ispira abbiamo letto e ascoltato tantissimo. Ed è qui, tra le tante cose lette e ascoltate, che mi sembra, per una volta, di poter cogliere un segnale che fa ben sperare.
Moltissimi commenti sui social e sui media stavolta sono di uomini. Non solo commentatori, ma uomini, in molti casi padri – ascoltati anche sulle frequenze di Radio popolare – che apertamente si dissociano non solo dal messaggio ma, più in generale, da un modello del maschile e del paterno che Grillo rappresenta, direi plasticamente ed enfaticamente.
Sono troppo ottimista? In alcune di queste dissociazioni – ad esempio di commentatori dei giornali – c’è una sottintesa presa di distanza che può mandare a dire che il tema della violenza, la cultura dello stupro riguardano solo chi se ne rende attore e colpevole? Sì e no, e per una volta il mio personale pendolo oscilla più sul no. Perché prendere parola è comunque un fatto potente e se la prendono gli uomini, e lo fanno in tanti criticando il video di Grillo, stanno implicitamente dicendo una cosa che, a queste latitudini, non è per nulla assodata: ovvero che la violenza non è un tema delle donne, ma una grande questione maschile.
Chi scrive, come molte altre, ha malsopportato, ogni volta che nel mondo succedeva qualcosa di orribile alle donne, il ritornello – spesso lanciato dai media più conservatori e spesso usato nelle vicende che potevano a loro consentire una chiava antiislamica – del ‘silenzio delle femministe’. Ritornello trito quanto banale e non vero: che, stavolta, accanto alle tante e giuste parole di donne ci siano anche parole di uomini, parole di padri (e quanto è importante che siano padri e madri a trasmettere modelli diversi del maschile e del femminile) mi sembra, in questa triste e violenta storia, una piccola luce.