La verità è che oggi l’ambientalismo è un ottimo brand. L’Europa punta le sue carte sulla transizione ecologica per uscire dalla crisi causata dalla pandemia.
E dato che le carte dell’Europa consistono in centinaia di miliardi di Euro, quello è “il” treno su cui stare. Beppe Sala lo ha capito benissimo e l’adesione ai verdi europei annunciata di recente non sorprende. Nel mondo post pandemia la narrazione ambientalista potrà integrare benissimo, in termini di efficienza e di capacità di stare al passo coi tempi, quella della città globale, dell’hub internazionale, fatta a pezzi dalle conseguenze della crisi.
Certo, uno non non può inventarsi una sensibilità verde se non ce l’ha. E l’ambiente è un pallino di Sala da parecchio. Ai tempi delle manifestazioni dei Fridays for Future, appena due anni fa, il sindaco si fece fotografare con loro e alcuni dei più promettenti tra quei giovani potrebbero finire candidati nella sua lista alle amministrative.
Il problema è: come si tradurrà in concreto l’ambientalismo del sindaco di Milano?
Se ci leggesse gli diremmo una cosa semplice: quando alzi tanto l’asticella poi devi saltare.
Proviamo a mettere in fila qualche idea.
Milano ha un problemino di consumo di suolo. Si può decidere che è arrivato il momento di intervenire, a cominciare dal progetto dei progetti, quello degli scali ferroviari.
Ancora: si può investire massicciamente nelle energie rinnovabili. Prima del covid il modello della Milano che voleva correre era Londra, oggi il modello ambientalista potrebbe essere la Parigi che si pone obiettivi molto ambiziosi come, per dirne una, la progressiva riduzione delle emissioni fino ad arrivare al 100% di produzione e consumo da rinnovabili.
Si può fare anche a Milano, nonostante si parta da una condizione di oggettivo svantaggio culturale, dove una striscia di vernice disegnata a terra per delimitare una timida pista ciclabile fa venire lo sturbo a frotte di automobilisti che subiscono il restringimento della carreggiata come si subirebbe la privazione di un diritto umano.
A proposito di automobili: la mentalità da anni ’50 si combatte con le scelte radicali.
Dichiariamo guerra al traffico privato a motore. A Parigi lo fanno, chiudono le grandi arterie e le trasformano in strade per le bici e i pedoni. Facciamolo anche noi. Cominciamo, ad esempio, da Corso Buenos Aires. I commercianti e quelli che non riescono a vivere senza l’appendice dell’automobile inscenerebbero clamorose proteste, poi capirebbero che tutto sommato sarebbe un vantaggio anche per loro.
Sono solo poche idee e nemmeno troppo originali per carità ma insomma, caro sindaco, era per dirti che se fosse solo green washing gli elettori se ne accorgerebbero.
Se invece fosse tutto vero potrebbero iniziare tempi interessanti.