Oggi, 24 marzo, la Lombardia ha superato i 30mila morti di COVID da inizio pandemia.
È una mattanza che non ha uguali nel mondo in proporzione alla popolazione. Il Belgio, il Regno Unito e la Repubblica Ceca, che sono i Paesi con il peggior rapporto tra abitanti e decessi, hanno avuto finora comunque meno morti della Lombardia rispetto alla popolazione.
Certo, le cause di questa strage unica nel pianeta sono tante e alcune di queste senza colpevoli: la Lombardia è stata la prima area in cui il COVID è esploso, inaspettato e violento, dopo l’arrivo dalla Cina.
Ma le responsabilità poi non sono mancate e forse un giorno ci vorrebbe una Norimberga per fare luce su chi ha causato tante vittime e perché.
Un anno fa, in questi giorni, il capo di Confindustria Carlo Bonomi diceva, testualmente: «Le imprese non vogliono e non possono fermarsi. Tuteliamo la produzione, la manifattura, l’offerta di servizi, la circolazione delle merci».
E il numero uno di Assolombarda Marco Bonometti gli faceva eco in modo perfino peggiore: «La zona rossa è dannosa», diceva. E poi: «Bisogna tenere aperte le aziende, dando continuità a tutte le attività produttive».
C’era un’ideologia dietro quelle parole e quelle pressioni. Un’ideologia che metteva la produzione davanti alla vita, come se la vita fosse finalizzata alla produzione e non viceversa.
Un’ideologia vecchia e tetragona ma anche miope, perché le attività produttive non si salvavano certo lasciando esplodere la pandemia.
È la stessa ideologia che vediamo all’opera anche adesso, nelle storture imposte in Lombardia alla campagna vaccinale, cioè nell’abbandono in cui sono stati lasciati gli anziani perché tanto non sono più produttivi. L’ideologia, specie quando si mescola all’incapacità e all’insipienza, produce disastri incalcolabili.
Qui a sinistra lo abbiamo imparato bene, fin dai tempi di Pol Pot. Forse è ora che lo imparino anche i Pol Pot della destra economica.