Tra pochi giorni è l’8 marzo, giornata internazionale di mobilitazione contro la violenza maschile e le discriminazioni di genere. Come ogni anno, il dibattito si avvita sul solito impossibile interrogativo: Cosa è causa, cosa conseguenza? Come può una donna non indipendente economicamente liberarsi della violenza fisica? Come può una donna vissuta nella discriminazione sfondare il tetto di cristallo? Insomma, da dove si comincia? Mentre ci interroghiamo, giustamente, e scioperiamo, nel caso, una cosa che il governo potrebbe fare non domani, ma oggi, c’è. Prima delle mirabolanti promesse del Recovery Fund, prima dell’immancabile “cominciamo dai bambini e dall’educazione”, prima di interventi certamente utili ma complessi: prima di tutto questo, i congedi, perfavore. I congedi covid.
Perché è vero che i genitori non sono solo mamme ma indovinate chi ci resta a casa coi bambini durante la chiusura delle scuole? Tra isolamenti fiduciari, zone rosse nazionali e chiusure disposte da sindaci e regioni, in questo momento uno studente su tre in Italia è a casa. I congedi concessi nei primi mesi della pandemia sono scaduti, da due mesi. Ora il governo promette uno stanziamento di 200 milioni di euro. E comunque è tutto rimandato al prossimo decreto economico, il famoso ristori 5, ribattezzato dl sostegno. Ma il vero problema è che le scuole funzionano a singhiozzo già da settimane. Quarantene fiduciarie, chiusure locali, zone rosse, con tutte le loro conseguenze in termini di gestione dei figli, sono stati tamponati con le ferie e coi salti mortali. Verosimilmente i provvedimenti del conte bis saranno riproposti, e non è una buona notizia, a giudicare dai dati sulla distribuzione della disoccupazione creata dalla pandemia: due posti di lavoro persi su tre nel 2020 erano di donne, a dicembre addirittura nove su dieci.
Foto | L’installazione Pandemic Classroom, nella sede delle Nazioni Unite a New York