18 dicembre 2020: Matteo Renzi lancia il suo primo ultimatum a Conte.
Erano esattamente due mesi fa, e iniziava così il terremoto politico finito ora con l’ultimo voto di fiducia a Draghi.
Due mesi in cui si è visto di tutto, anche l’impensabile: la brevissima epopea dei “responsabili”, abortita nel giro di pochi giorni; il grottesco tavolo dei quattro partiti della maggioranza che la sera del 3 febbraio finisce a male parole; Mattarella che in fretta e furia dà l’incarico a Draghi; Salvini che diventa europeista in un mattino; il PD che si fa passare i mal di pancia in mezza giornata, Grillo che convince i suoi che Draghi in fondo è un bravo ragazzo da meet-up.
E poi, negli ultimi giorni, il coro encomiastico preventivo – un coro sciocco come sciocca è ogni attesa messianica per “l’uomo che sistemerà tutto” – e abbiamo sentito anche Draghi paragonato a Totti, nell’aula di Montecitorio.
Sul governo Draghi Radio Popolare ha invece un approccio attento e critico anche se non prevenuto: nessun anatema e nessun servile encomio.
E così continueremo a fare basandoci sul giudizio per ogni singolo atto del nuovo governo e per la sua visione complessiva di Paese, che – diciamoci la verità – è ancora ignota, perché Draghi si è mantenuto molto sul vago e perché per ora incassa applausi scroscianti anche quando dice “buongiorno” e “buonasera”.
Crediamo che ci sia una larga parte di Paese e di sinistra che questo approccio attento e critico, non prevenuto e non cospirazionista, probabilmente lo condivide, anche se per ora il frastuono dei troppi applausi impedisce di sentirla.
Noi cercheremo invece di ascoltare, di far parlare e di fare sentire anche questa fetta di paese e di sinistra.