Pina Maisano Grassi è stata una delle figure più emblematiche della rivolta contro il pizzo e contro la mafia.
Aveva 87 anni. Era nata a Palermo nel settembre del 1928. Ieri martedi, dopo un malore, è stata ricoverata a Villa Sofia nel capoluogo siciliano, ma i medici non hanno potuto fare nulla. Accanto a lei c’erano i figli Alice e Davide.
Per Pina Grassi la lotta per la legalità, contro le mafie, è stato un impegno costante dopo l’assassinio del marito Libero Grassi, avvenuto nell’agosto del 1991 da parte di Cosa Nostra. Libero si era ribellato al pagamento del pizzo e lo aveva denunciato pubblicamente.
Pina ha continuato la battaglia di Libero contribuendo in maniera sostanziale, dentro e fuori le istituzioni, per affermare un’idea di legalità, di impresa e di economia libera, trasparente, socialmente sostenibile ,dando il suo impulso, il suo entusiasmo a quell’esperienza di rinascita civile che a Palermo, in Sicilia prese il nome di Addiopizzo. Chiamava con affetto i ragazzi di Addiopizzo i “miei nipotini”.
Poi, instancabile nelle sue molteplici attività, era diventata presidente onorario dell’associazione anti racket Libero futuro , composta prevalentemente da imprenditori che si mettono a disposizione di tutti quei colleghi che decidono di denunciare gli estorsori.
Pina Grassi, dopo l’uccisione del marito, affrontò il dolore, non si chiuse in se stessa, ma scelse la via della lotta, dell’azione, della vera antimafia. Accettò di candidarsi per i Verdi al Senato, nel 1992 e venne eletta a Torino, nel collegio Fiat–Mirafiori. Le proposero di entrare nella Commissione di indagine sul fenomeno mafioso, ma lei optò invece per la Commissione dei Lavori pubblici. E lo spiego chiaramente: “E’ in questa commissione, negli appalti, la chiave di tutto”.
Terminata l’esperienza parlamentare continuò il suo impegno in Sicilia, convinta che i siciliani “potranno diventare non sudditi, ma attori con assunzione di responsabilità per lo sviluppo di oggi e di domani, non di un tempo a venire non identificabile”.
Antonella Mascali, raccontò i funerali di Libero Grassi nelle sue cronache per Radio Popolare. Oggi lavora al Fatto Quotidiano. Nel 2010 ha pubblicato per Chiare Lettere il libro Lotta Civile che contiene la biografia di Libero Grassi.
“Pina Grassi ha sempre condiviso la scelta del marito – scrisse Antonella Mascali che la incontrò a Palermo -. ‘Io sapevo tutto quello che stava succedendo- disse Pina Grassi- e ho appoggiato da subito Libero. Noi ci siamo innamorati, sposati, per la condivisione di principi per noi irrinunciabili: la dignità, la libertà, la democrazia, la cultura. E poi c’è da dire che non pensavamo di rischiare la vita. Pensavamo a una ritorsione contro la fabbrica. Mio marito aveva messo in conto un incendio doloso alla Sigma, il furto dei camion, ma non la ritorsione fisica’”.
Invece Libero Grassi venne ucciso il 29 agosto del 1991.
Libero Grassi fu ucciso perché era solo nella sua battaglia contro il racket. Né i suoi colleghi, né tanto meno la Confindustria l’avevano appoggiato nella sua scelta di non pagare il pizzo ai mafiosi e di denunciarli. Anzi lo avevano ostacolato, isolato, additato come l’unico che aveva compiuto quel passo. Accanto a lui c’era soltanto la sua famiglia e un gruppo di amici. Molti gli voltarono le spalle, negando che esistesse il racket del pizzo ,nell’indifferenza dello Stato e dei partiti.
“Erano le 7.30 del mattino – ricorda Pina Grassi-. Era un giovedì. Mio marito uscì di casa per andare alla Sigma (l’azienda tessile della famiglia, ndr) e organizzare la riapertura post ferie. Invece all’angolo di casa gli sparano alle spalle cinque colpi di pistola. Io l’avevo accompagnato in ascensore per un saluto e per riprendere una nostra precedente discussione su una pianta del terrazzo. Lui si era lamentato perché l’avevo potata e io gli feci notare che invece la potatura le aveva fatto bene. Tutta orgogliosa gli dissi: “Hai visto che la pervinca sta rigettando i fiori?” Lui sorrise. Furono le nostre ultime parole. Poco dopo sentii i colpi di pistola ma non pensai che fossero per mio marito. In quegli anni sentire gli spari a Palermo era normale. Al citofono qualcuno però mi chiese se mio marito fosse in casa e in quell’istante capii, mi precipitai nell’androne e mi bloccai. Non volli vedere Libero morto, d’istinto non volli vedere come lo avevano ridotto e sono contenta di non averlo fatto”.
Pina Grassi in tutti questi anni si è battuta per la legalità. Lo ha fatto con una particolare attenzione al mondo dei giovani, e a quello della scuola. Solo venti giorni fa, il 19 maggio, Pina come ogni anno aveva partecipato alla consegna del premio Libero Grassi, insieme alla figlia Alice. Un premio che per il 2016 è stato dedicato alla lotta contro la corruzione ed è stato vinto da varie scuole che, attraverso i loro ragazzi, avevano portato avanti questi valore di legalità. Valori che Pina Grassi amava riassumere in quelle che lei chiamava le “tre elle: legalità, libertà e lavoro”.
“ Legalità – spiegava- vuol dire non cercare scorciatoie che eludano le leggi. Libertà non farsi opprimere da nessuna prevaricazione. E il Lavoro, che è alla base di tutto”.
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Si incontrarono a Palermo il 29 agosto del 1991, il giorno dell’assassinio di Libero Grassi. “La cosa che ancora oggi mi colpisce di quell’incontro è che andai a casa sua e trovai Pina a rassicurare me, a rassicurare noi e a darci forza e fiducia”, ci racconta Tano Grasso, il primo presidente di un’associazione antiracket in Italia, a Capo d’Orlando.
Da lì è iniziato il percorso parallelo di Tano Grasso e Pina Maisano. “Una donna piccola, minuta”, eppure così forte. “Ogni tanto andavamo in giro a fare delle conferenze e le chiedevano: ma come fa lei ad essere così piccola e ad avere un figlio così grande? Ci confondevano, Grasso con Grassi, e su questo abbiamo sempre giocato, in tutti questi anni”, racconta Tano Grasso, che si considera suo figlioccio.
Dal 1991 fu “la madrina di quasi tutte le associazioni contro il racket, nate in Sicilia e nel resto d’Italia, e il fatto straordinario è che Pina negli ultimi 10 anni sia diventata il punto di riferimento di tanti giovani che hanno dato vita all’esperienza di Addiopizzo; un’esperienza che ha allargato la base sociale del movimento anti racket: non più solo i commercianti e gli imprenditori, ma anche i consumatori e i giovani”.
“Grazie nonna, hai segnato per noi una strada che ancora oggi proviamo a percorrere. Ti sei resa familiare subito e ci hai dato una forma che era sostanza”, le hanno scritto in una lettera.
Il ricordo di Tano Grasso, intervistato da Chiara Ronzani