“Abbiamo ricevuto la sua disponibilità̀ per le USCA, la ringraziamo e la terremo in conto qualora ci trovassimo in difficoltà a reperire risorse“.
Così rispondeva l’ATS di Milano a metà aprile 2020 a un giovane medico – come vedremo a breve, non è stato il solo – che aveva partecipato al bando con cui Regione Lombardia cercava di mettere in piedi le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (le USCA). Si tratta, come ormai noto, di equipe di medici operative sul territorio e in grado, assistendo i malati di COVID a domicilio, di alleggerire le pressioni sugli ospedali. Le USCA si recano a casa dei pazienti ed effettuano vari tipi di servizi, tra cui anche tamponi diagnostici, lastre polmonari e somministrazione di terapie.
Che queste unità fossero un soggetto fondamentale, perché riuscire a ridurre la pressione sugli ospedali è uno degli obiettivi primari nel contesto della lotta alla pandemia, è stato chiaro molto presto. Il decreto legge che le ha istituite è infatti il n. 14 del 9 marzo 2020, giorno in cui l’Italia entra nel suo primo lockdown nazionale.
Da decreto, alle Regioni viene attribuito il compito di istituire le USCA in quantità di una ogni 50mila abitanti. In Lombardia si sarebbe dovuti quindi arrivare a formarne 200, ma si sono registrati enormi ritardi. A metà aprile, infatti, le unità attive in regione erano meno del 20% di quelle attese: una ogni 400mila abitanti – anziché una ogni 50mila. A Milano e Lodi ce ne erano appena 8, mentre ne erano previste 65.
Il 17 aprile, l’ex Assessore al Welfare Giulio Gallera dichiara che in Lombardia le USCA “sono in rafforzamento costante e continuo”.
A 37e2 (puntata del 26 novembre scorso) abbiamo raccolto la testimonianza di un gruppo di giovani medici di Milano, tra cui Roberto, che nel mese di marzo hanno risposto all’avviso pubblico per manifestazione di interesse per medici specialisti, medici specializzandi, medici laureati disponibili a prestare attività clinico assistenziale nelle aziende sanitarie e sociosanitarie (ASST) di Regione Lombardia. Come medici, benché non ancora specializzati, avevano infatti i requisiti per partecipare al bando e quindi per lavorare nelle USCA.
Ecco le risposte (identiche) che due di loro hanno ricevuto il 16 e il 23 aprile da ATS Milano:
“Abbiamo ricevuto la sua disponibilità per le USCA, la ringraziamo e la terremo in conto qualora ci trovassimo in difficoltà a reperire risorse“.
Uno di loro, il 5 maggio riceve la seguente risposta:
“Per ora i turni sono stabiliti fino al 15/5 e sono coperti. Se ci saranno implementazioni delle sedi e serviranno nuovi medici, sarete contattati via mail“.
Roberto (il nome è di fantasia) inizia così a lavorare in una USCA in Piemonte, regione che l’ha subito messo in servizio e dove tuttora vive e lavora.
All’arrivo della seconda ondata pandemica di ottobre, i colleghi di Roberto hanno cercato di mettersi nuovamente a disposizione per le USCA in Lombardia. Il 15 ottobre, ATS Milano risponde così a uno di loro:
“Abbiamo ricevuto la sua disponibilità per le USCA, la ringraziamo e la terremo in conto qualora ci trovassimo in difficoltà a reperire risorse“.
In quegli stessi giorni, risulta che le USCA effettivamente attivate in Lombardia fossero appena 46 a fronte delle 200 necessarie. A Milano, epicentro della nuova ondata di Coronavirus, ce ne erano appena una decina: perché ATS Milano ha rigettato la disponibilità di questi medici? Abbiamo ripetutamente rivolto questa domanda ad ATS Milano, ma non abbiamo mai ricevuto risposta.
Quello che è chiaro da questa vicenda è che non tutte le difficoltà possono essere attribuite alla cronica carenza di medici. Il 21 ottobre, l’allora Assessore Gallera ha dichiarato: “Non ci sono abbastanza persone formate” spiegando che “questo vale per gli ospedali così come per le Usca, le unità territoriali”. Ancora, il 29 ottobre, intervenendo a un convegno dell’Anaao Assomed, Gallera giustificava così il numero insufficiente di unità attive in Lombardia:
“Oggi non troviamo medici, noi i bandi li facciamo da giugno sui medici, sugli infermieri e sulle Usca, ma non si presentano“.
Poi, il 5 novembre, a fronte di una drammatica impennata della curva pandemica, qualcosa sembra muoversi. A uno dei medici rimasti senza chiamata arriva improvvisamente una mail con oggetto “URGENTE: Richiesta conferma disponibilità per attività USCA”, in cui ATS Milano chiede di segnalare, a tutti i medici interessati, la disponibilità per entrare a far parte delle unità speciali. Il 23 novembre questo medico ci ha scritto:
“Rispondo al messaggio e lo giro ad altri interessati. Passano i giorni, ma ad oggi nessuno tra me e le altre persone che conosca hanno ricevuto risposta dalla direzione.
Non è il primo avviso di interesse per l’emergenza Covid a cui faccio richiesta che non vede risposte: è già successo con la prima ondata in cui ho applicato alla manifestazione di interesse indetta da Regione Lombardia, e lo stesso è capitato più recentemente in questa seconda fase di picco con i bandi di contact tracing indetti dalla Protezione Civile e di costituzione di una sala operativa di approfondimento per la gestione territoriale dei malati indetta da AREU. Tutti regolarmente sottoscritti, ma apparentemente finiti nel vuoto per me e per tutti gli altri medici analogamente interessati di cui ho notizia“.
di Cora Ranci e Vittorio Agnoletto