Nessuna ripercussione sul governo, nessun campanello d’allarme sul referendum. Matteo Renzi sceglie ancora lo schema delle due pagine distinte, quella nazionale e quella locale, e il dato delle amministrative riguarda solo quest’ultima. Ma nello stesso tempo ammette di non essere contento. Avrebbe voluto di più. Il dato del Pd nelle città più importanti non è quello sperato e ora bisogna correre ai ripari. Comincerà con Napoli, dove la sconfitta è la più evidente, commissariando il partito. Ma deve affrontare anche altro, deve capire se una gestione personalistica del partito e della campagna referendaria del prossimo autunno paga e se l’alleanza con Denis Verdini e Ala anche in versione amministrativa sia vantaggiosa o controproducente.
Il Presidente del Consiglio è apparso nervoso in conferenza stampa, sulla difensiva e troppo ironico nei confronti dei Cinque Stelle, segno che è proprio il Movimento di Grillo, una forza antisistema che però si prepara a governare la capitale, a preoccuparlo per il futuro. E’ vero, come ha spiegato, che se alle elezioni politiche prendesse il 40% come in alcune città ci metterebbe subito la firma, ma l’immagine del suo governo non è più quella dell’anno scorso, appare più sbiadita e stanca. “Se molti hanno scelto il voto di protesta, dovranno allora votare sì al referendum- dice Renzi – perché noi vogliamo cambiare le cose”. In fondo continua ad essere quella la preoccupazione principale, il referendum. E proseguirà a personalizzare quel voto, perché se non lo farà lui, lo faranno gli altri.
Certo si aspettava di più, se a Roma è stato un mezzo miracolo, a Milano forse si attendeva un distacco maggiore tra i due, per non parlare di Napoli.
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La minoranza del partito per ora non attaccherà il segretario, gli chiedono però di mettere da parte il referendum istituzionale e dedicarsi ai ballottaggi. Tra quindici giorni quindi andranno a chiedergli un chiarimento su referendum e sulle alleanze.
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