Hanno superato i 100.000 i contagi sul lavoro certificati dall’Inail. Il 70% riguardano donne. Gli infortuni riconosciuti durante la seconda ondata hanno superato quelli della prima. Segno che il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro è stato trascurato.
Il rapporto tra contagi e lavoro è un grande rimosso dal discorso pubblico.
A dare una panoramica, seppur parziale e fortemente sottostimata restano i dati Inail, che però non coprono tutti gli ambiti lavorativi, e spesso – denunciano i sindacati – l’infortunio da COVID non viene riconosciuto. Non a caso 7 su 10 arrivano dal settore socio-sanitario, seguiti dagli uffici pubblici.
È clamoroso che gli infortuni siano più numerosi nella seconda ondata, quando ci sarebbe stato tutto il tempo di prepararsi. Anche incentivando lo smart working: rimasto invece un’eccezione nel privato, fortemente diminuito nel pubblico, ed i numeri si vedono. Dai dati Inail praticamente scompare il settore privato: o una sorta di paradiso, o i conti non tornano, eppure solo qualche giorno fa Assolombarda sottolinea come le aziende con assenze da COVID siano state il 56% in Brianza, il 53% a Milano.
La deputata del PD, Chiara Gribaudo sottolinea le carenze di personale di chi dovrebbe controllare, e come siano stati disattesi i punti del protocollo sulla sicurezza sottoscritto da sindacati e parti sociali. Ma proprio il tema dei contagi da lavoro e delle conseguenze è un tema ignorato dalle misure del governo. La Prof.ssa Francesca Russo, capa del dipartimento Prevenzione del Veneto, osserva che nella sua regione l’incremento di contagio più elevato si è avuto fra i 25 e i 64 anni, ma l’incremento di mortalità è nella fascia d’età più alta.
A quali conclusioni arriva La Prof.ssa Russo? Testuali: “Il mondo produttivo si infetta di più e fa da vettore per gli anziani che finiscono in ospedale e talvolta muoiono». In altri termini: si infetta chi lavora, che essendo giovane se la cava, ma poi torna a casa e contagia, a volte uccide, il padre o il nonno. Secondo il virologo Pregliasco il Veneto non si può considerare certo un’eccezione: eppure le misure continuano a concentrarci soltanto su una parte della catena del contagio. Quella che riguarda il lavoro è stata ed è ignorata, e i dati Inail lo dicono con chiarezza.