“Sto cercando un lavoro che mi permetta di tornare in Siria. Spero di trovarlo nei prossimi mesi, così potrò stare vicino alla mia famiglia”. Ahmad, 24 anni, ha lasciato la Siria tre mesi fa. Lo ospita il fratello a Gaziantep, nel sud della Turchia, non lontano dalla confine siriano. “Qui la vita non è male, ma vorrei stare con mia moglie. Aspettiamo un bambino, nascerà a novembre. Vista la gravidanza non voglio che faccia il viaggio che ho dovuto fare io per arrivare qui in Turchia”.
Ahmad è tra i pochi siriani che in questi mesi sono riusciti a lasciare il loro paese nonostante il governo Erdogan abbia ormai chiuso la frontiera, permettendo il passaggio solamente ai feriti gravi. A più riprese ai passaggi di confine, soprattutto quello di Kilis sopra ad Aleppo, sono arrivate decine di migliaia di profughi, in fuga dai bombardamenti del regime e dell’aviazione russa.
Al momento, stando alle cifre ufficiali dell’Agenzia Onu per i Rifugiati, in Turchia ci sono quasi due milioni e ottocentomila siriani. Ankara ha costruito 26 campi profughi, anche se la maggior parte dei migranti vive nei villaggi e nelle città di tutto il paese, soprattutto nel sud. Ma a un certo punto il governo turco ha deciso che il suo sistema non era più in grado di assorbire il continuo flusso di rifugiati e ha iniziato a sigillare la frontiera con la Siria.
“Per arrivare in Turchia – ci racconta Ahmad – bisogna affidarsi ai trafficanti e pagare 500/600 dollari. Il viaggio è sempre di notte. I gruppi mai sopra le venti persone. Soprattutto uomini, anche se ogni tanto ci sono pure donne e bambini. Nel mio caso, era fine febbraio, abbiamo aspettato per qualche ora davanti a un fuoco, faceva piuttosto freddo. A un certo, quando i passatori hanno ricevuto il messaggio dall’altra parte del confine, siamo partiti. Dopo un’ora eravamo già alla frontiera. E quando è arrivato il via libera delle guardie turche, corrotte e pagate con i nostri soldi, siamo entrati. Fin qui – continua Ahmad – è stato tutto facile. La parte più complicata è in territorio turco, visto che bisogna raggiungere una stazione di polizia ed essere sicuri che lì ti diano il kimlik, un documento che attesta la tua presenza in Turchia e con il quale, in teoria, non ti possono più rispedire indietro”.
L’esercito di Ankara sta costruendo un muro lungo tutta la frontiera siriana, lunga quasi mille chilometri. La barriera non è ancora terminata e infatti le rotte illegali passano proprio da due punti dove il muro non è ancora arrivato: Azaz, sulla direttrice tra Aleppo e la città turca di Kilis, e Khorbet Aljouz, più a ovest, tra la provincia siriana di Idlib e quella turca di Hatay.
“Io sono passato da Khorbet Aljouz e sono entrato in Turchia a Güveççi – ci spiega Ahmad – e lì è iniziato il mio vero viaggio. Ho camminato per nove ore prima di denunciare la mia presenza alle autorità turche, senza ovviamente far presente che ero appena entrato illegalmente nel paese”. Ahmad ci mostra il suo kimlik, un foglio scritto in turco con la sua foto. “Con questo posso rimanere qui, ma non posso spostarmi dalla provincia dove me lo hanno rilasciato. Per muovermi liberamente in Turchia avrei bisogno di un certificato di residenza o di un permesso di lavoro, per noi siriani sono una vera rarità. Se adesso volessi rientrare in Siria attraverso un passaggio di frontiera ufficiale dovrei lasciare lì il mio documento turco. Vedremo”.
Per ora Ahmad lavora con un’organizzazione non governativa qui a Gaziantep, ma presto sarà nuovamente a casa, nella provincia di Idlib, dove non c’è acqua corrente, elettricità e riscaldamento, ma dove c’è la sua famiglia. “Abbiamo provato a farli venire tutti qua – ci raccontano Ahmad e il fratello – ma non ne vogliono sentir parlare, soprattutto nostra madre. Casa sua è in Siria e dice che rimarrà lì fino alla fine, anche se la nostra cittadina è controllata da al-Nusra, il braccio siriano di al-Qaida”.
Mentre chiacchieriamo con Ahmad ci colpisce soprattutto una cosa. La sua assoluta serenità. Fare dieci ore di cammino sulle montagne, pagare i trafficanti, rischiare di essere arrestato non sembrano spaventarlo. “La Siria sta bruciando, tra qualche anno non rimarrà più nulla, non abbiamo nulla da perdere”.