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- Tratto dal podcast Cult |
Davide Enia, drammaturgo autore dello spettacolo “Italia – Brasile 3 a 2“, spiega a Radio Popolare l’importanza simbolica per tutta l’Italia di quella storica partita e del suo protagonista, Paolo Rossi, scomparso oggi all’età di 64 anni.
L’intervista di Ira Rubini a Cult.
Il tuo straordinario spettacolo, “Italia – Brasile 3 a 2“, nel 2020 rivive un’esperienza irripetibile.
Quella partita, giocata il 5 luglio allo Stadio di Sarriá di Barcellona, è stato il momento che ha segnato, più di ogni altro, una identificazione di coscienza collettiva. Tutti quanti coloro che hanno assistito all’incontro ricordano spazio e tempo della visione. È veramente irripetibile, perché è stato un momento di pura gioia. Solitamente l’identificazione collettiva la si ha quando accade un evento terrible, tragico e funesto. Per me di Palermo per esempio, nella doppia bomba di Falcone e Borsellino del ’92, l’estate che per noi aveva l’odore di tritolo. Sappiamo dov’eravamo quand’abbiamo sentito la bomba di Borsellino. Ero a telefono con la mia compagna di scuola Simona e abbiamo sentito proprio il botto della bomba. L’82, invece, è stato un momento di pura gioia, ma lo è stato per la drammaturgia interna con il quale è accaduto. Questa drammaturgia ha un enorme paladino è il suo nome è “Paolorossi”, tutto attaccato. Un suono che ha significato per decenni Italia nel Mondo, una sorta d’orgoglio per gli ultimi che riescono a trionfare contro ogni logica, perché baciati in quel momento dalla grazia. Questo era Paolo Rossi.
Fu un “superitaliano”, senza avere nulla dell’eroe retorico.
Paolo Rossi aveva un fisico che tutto sembrava dire fuorché “tu diventerai capocannoniere mondiale”. Lui veniva da due anni di squalifica per il calcio scommesse. Arrivò ai mondiali senza allenamento, perché Bearzot ebbe questa grande intuizione di fidarsi di questo giocatorino qua. Rossi, infamato dalla stampa, segna tre gol contro il Brasile, due in semifinale contro la Polonia e il primo della finale, per un totale di 232 minuti in cui ha fatto danzare non soltanto un’intera nazione per il tempo di un’estate e altro ancora, ma l’idea stessa del calcio. Lui sovvertiva le regole: Paolo Rossi era fortissimo perché era un giocatore inesistente, invisibile. Lui scompariva dal terreno di gioco, e poi, come epifania del sacro, compariva, metteva tibia e ginocchio, e spingeva la palla in rete, facendoci liberare nel nostro bisogno di urlare quella sillaba – che non ha senso – che è “GOL”. Questo era. Era una vibrazione che rendeva punto di forza quello che per altri era una debolezza, quella fragilità era diventata il foglio di carta che taglia il dito. Lui aveva la trasparenza cristallina e su questo foglio è riuscito a scriverci un’epica, perché Paolo Rossi non è stato un giocatore di calcio. Paolo Rossi è stato un romanzo.
Foto dalla pagina Facebook di Paolo Rossi